INTRODUZIONE

Lacerta2: La storia della guerra...

mercoledì 16 settembre 2009

domenica 13 settembre 2009

A proposito di Alieni....

ALCUNE PRECISAZIONI SULLA NATURA DEGLI ALIENI

In questi racconti si parla di alieni.
Poiché la razza di cui si narra possiede una prismatica varietà genetica, dobbiamo rendere edotto chiunque si accosti a questa storia a cosa sta per andare incontro.
Anzitutto molti hanno sentito sempre parlare di Alieni Clandestini, Alieni del Contratto, del Massimo Comune Sistema e degli Staigh, come fossero realtà contrapposte e in antitesi fra loro. Non siamo lontani da quanto accade effettivamente nella realtà, ma alcuni dettagli occorrono al lettore per orientarsi in quanto sta succedendo nella realtà del nostro mondo.
Cominciamo allora a chiarire perché vengono adoperati alcuni nomi e su quante razze vivano attualmente sul nostro pianeta.
Vi sono due tipologie aliene note oggi con le rispettive sottoclassi.
Sia la Classe Lacertana, quanto quella Sideriana fanno parte di una Superfamiglia, l’IPERCLASSE: Sirianae Gens.

Sulla Terra vige una classificazione ‘indigena’ ossia stipulata sulla base di un accesso linguistico umano, vediamo queste 2 classi aliene:

IPERCLASSE
SIRIANAE GENS

(Sirianidi)

CLASSE
Lacerta Lacerta
Con 2 sottoclassi:
Lacerta Allaghèna
Lacerta Koisseghèna

CLASSE
Siderian Mammalian Sapiens Sapiens
Con 1 sottoclasse:
Siderian Reptilmammalian


Quindi sia i sideriani quanti i lacertiani sono imparentati dallo status filogenetico dei Sirianidi. Questa prospettiva di catalogazione biologica può incontrare molte resistenze nella logica terrestre. Infatti rettili e mammiferi non possono stare sotto lo stesso tetto di un’unica famiglia. Eppure si decise all’inizio della storia in questione di porre entrambe le specie sotto il medesimo albero genealogico. Perché? Per ragioni sia anatomiche, quanto ‘politiche’. Le ragioni anatomiche: i sideriani come i lacertani possiedono una struttura ossea molto simile. Uno scheletro dalla forma quasi identica se si escludono le sovrastrutture del cranio lacertiano. Ma soprattutto per un’incredibile occasione biologica, mai riscontrata prima nel nostro mondo: le due classi possono accoppiarsi ed essere feconde fra loro, generando ibridi nei casi:

Femmina Lacertana Maschio Sideriano :
Maschio ibrido fertile Femmina ibrida non fertile

Femmina Sideriana Maschio Lacertano:
Maschio ibrido non fertile Femmina ibrida fertile

Maschio Ibrido Fertile Femmina Lacertana :
ibrido Asessuato o casi di ermafroditismo

Femmina Ibrida Fertile Maschio Lacertano:
ibrido non fertile asessuato

Maschio ibrido fertile Femmina Sideriana:
ibrido femmina o maschio fertile

Femmina ibrida fertile Maschio Sideriano:
ibrido femmina o maschio non fertile



quindi abbiamo casi di ibridazioni interfeconde.

Il motivo politico riguarda la consuetudine aliena di considerarsi biologicamente parte di una stessa nomenclatura filogenetica, al fine quindi di non incorrere in atti di scorrettezza diplomatica, abbiamo deciso di includere nella nostra classificazione queste razze assieme.

La Specie Ibrida : Allaghè 02

mercoledì 9 settembre 2009

lunedì 7 settembre 2009

La Lingua del Lacerta I

I Linguaggi Arakonèta

sabato 5 settembre 2009

lunedì 20 luglio 2009

I GIORNI DEL SAURO 9

Il soggetto umano.
Non avevo la minima idea, ancora, dell’umano che avrei fra non molto dovuto seguire e prelevare, suo malgrado. Il Vescovo mi consegnò la documentazione. Lessi con scrupolo ogni dettaglio genetico sulla sua cartella, quindi predisposi il computer, per attivare la stanza di realtà virtuale. In genere gran parte del mio studio sul soggetto segue la ricostruzione dell’ambiente dove vive. Rigenero, attraverso i dati raccolti dai ‘Puntatori’ (gente addestrata, selezionate in apposite linee di sangue, messa alle calcagna dei soggetti da prelievo, allo scopo di intercettarli e fornirci informazioni precise su quanto li circondi), l’ambiente umano a livello virtuale. Lì mi alleno a muovermi, per non lasciare al caso troppe cose. Un’altra importante sezione del mio studio preliminare, la ottengo parlando direttamente col ‘mio Puntatore’. Ogni ufficiale di Prelievo possiede un suo ‘Puntatore’. I due sono legati da un rapporto gerarchico diretto di ‘superiore’ (il Prelevatore) e ‘subalterno’ (il Puntatore). E’ come un cacciatore col suo cane da ferma. E un prelievo è un’azione di caccia.
Mentre scorrevo le sequenze cromosomiche generiche del soggetto umano HPL021, e la sua prima schedatura, la mia ansia da prestazione professionale andava placarsi.
‘Femmina, 25 anni, razza caucasica… Istruzione: laurea in letteratura medioevale.
Sport attuale: equitazione (non agonistica), Sport eseguiti in passato: Sci di Fondo (non agonistica)…’
Un soggetto in apparenza ‘tranquillo’ dunque. Pensai. Sport e Studi mi portavano a credere di dover affrontare una creatura senza particolari propensioni alla violenza. Non avrei dovuto combattere, quindi.
La missione, se non fosse per le inquietanti raccomandazioni preliminari del Vescovo, non sembrava destare preoccupazioni.
Avrei dovuto incontrare il Puntatore in quel giorno, di notte. Era di ritorno dal mondo umano da poche ore, e stava decomprimendosi in una apposita sala. La ‘decompressione’ è soprattutto a livello mentale. Il Puntatore, letteralmente, ‘riempie’ di informazioni la sua mente e il suo sistema nervoso. La selezione operata in modo compiuto e mirato dai Vescovi, sul codice genetico dei Puntatori ne ha potenziato in maniera sconfinata la portata della memoria. E del resto, la sua capacità mentale. Un Puntatore raccoglie le immagini, i suoni e gli odori, in un modo tanto veloce tanto da non essere eguagliato ancora da alcun tipo di tecnologia cinematografica.
C’è un effetto collaterale molto serio: il Puntatore se non ‘decomprime’ la sua mente e la sua memoria dalle informazioni più emotive, entrate attraverso un fortissimo legame empatico con il ‘Puntato’, viene a soffrire di una seria e letale crisi di identità.
E non è destino di un Puntatore morire di vecchiaia. Ormai è frequente che questi individui muoiano suicidi o drogati. La decompressione non è ancora un processo stabilizzato.

Ormai era l’ora dell’appuntamento.
Nella stanza dell’incontro si presentò il mio subalterno.
- Capitano, sono a tua disposizione. – fece il Puntatore con la solita formula di rito.
Lo salutai, e lo feci accomodare.
- Possiamo cominciare il nostro studio? – chiesi, sapendo delle difficoltà della
decompressione. Lui fece un cenno positivo.
Bene, allora cominciamo. – ripresi – Tanto per iniziare: fammi un profilo caratteriale del soggetto.
Il Puntatore si schiarì la voce e fissò lo sguardo verso un punto invisibile della stanza, come se vi fosse spiegato un telone cinematografico innanzi a lui. Attese per un istante, come se quel ‘cinema’ imponderabile davanti a lui dovesse prendere a trasmettere…Pazientati. Un Puntatore agisce secondo diversi processi cognitivi.
Quindi parlò, in un rivo selvaggio di associazioni fra idee e immagini mentali
- La Donna è molto dotata. Possiede un’energia visiva eccezionale, è dentro di se l’antico mestiere delle Parole. Nessuno glielo ha insegnato, arriva da una memoria sconfinata. C’è molto calore attorno a lei. La sia presenza è manifestata attraverso l’onda impetuosa dei suoi pensieri. –
Fermai la descrizione del Puntatore. E gli chiesi un’altra informazione:
- Vorrei adesso una panoramica ambientale attorno al soggetto.
Il Puntatore ebbe un’espressione simile a un cameraman intento a spostare la sua cinepresa su un ampio obbiettivo.
- Ella è attorniata da un rovo di spine. Molti si sono avvicinati alla Donna con scopi oscuri. Cercavano il Libro Mastro del Mestiere.
Sobbalzai. Forse stavamo puntando il giusto bersaglio. Però attesi ancora un po’ prima di intervenire sul beraglio, cercando una visuale ancora più ampia per capire ogni dettaglio. Chiesi, ancora:
- Bene, adesso però gradirei un panorama ancora più ampio. Dimmi fin dove puoi scrutare.
Il Puntatore cercò in quell’insondabile pellicola nella sua mente.
- La Donna è una bambina cresciuta in un Istituto Religioso. Ci sono persone con una divisa attorno a lei.
- Divisa? Potresti zoomare su queste divise?-

...continua...

sabato 11 luglio 2009

I GIORNI DEL SAURO 8

- Ascoltami Anhyan, è di vitale importanza che tu comprenda ora le mie direttive. Non potrò più intervenire, in avanti, per darti spiegazioni. E’ importantissimo, quindi, che tu capisca adesso!
- Vi sto ascoltando, Signore. – feci.
Il tono del Vescovo era calmissimo, come un potente fiume che scava, a viva forza nelle ere, canyon… Continuò:
- Capitano, dobbiamo procedere a un ‘recupero’.
- Un Protocollo Delta U10?
- Esattamente, ma è obbligatorio un silenzio assoluto sulla faccenda. I tuoi unici referenti per qualsiasi comunicazione a riguardo, dovrà essere solo, ripeto, solo, chi è presente in questa sala. E’ ovvio che l’unico superiore al quale puoi rivolgere la parola, qui dentro sia io. Perciò a me e solo a me, parlerai se incontrerai problemi. Ma considera questo: nel luogo dove verrai spedito, è probabile che non potremmo contattarci. Sari tu solo laggiù. Forse non potrai neppure inviarmi alcun messaggio dal ripetitore cerebrale. Sarai al buio totale. Se ti dovesse accadere di morire, o peggio, non esiteremo a incenerire all’istante il tuo corpo. Non potrai essere catturato, il tuo ceppo genetico è stato selezionato con un’alterazione cellulare, grazie alla quale, il tuo corpo potrà esplodere all’improvviso, senza lasciare traccia alcuna. So che lo sai. Tutti i ‘latori dei Culti Misterici dei Lacerta’ ne sono consapevoli. Non possiamo permetterci errori su questo terreno.
Quelle parole, proferite in modo tanto freddo, quanto asettico, mi diedero la nausea. Non ricordo la prima volta che i miei occhi incontrarono lo sguardo delle iridi blu cobalto, glacialmente luminose, del Vescovo. Ma di certo pochissimo altro poterono aver visto prima. Di mia madre? Nessun ricordo. Solo attimi. Ho sentito per alcuni istanti il battito cardiaco di mia madre. Era la mia terra allora. Il mio primo mondo scoperto: il torace di mia madre sul quale udii quel tonfo profondo e affaticato. Poi non c’è stato altro, solo gli occhi blu dei Vescovi.
Per tutta la vita sono stato sbattuto di mondo in mondo, a combattere, o a ‘recuperare’. Da quando assursi al grado di tenente divenni un recuperatore.
Bruciante di sapere quale fosse il mio destino, cercai di accelerare i tempi:
- Signore, mi permetto di chiedervi dettagli sul protocollo U10…
- Certo. Apprezzo la tua voglia di lavorare.
Con movimenti lenti e maestosi il Vescovo si spostò sul pannello di trasmissione olografica. Fece danzare il dito in aria e immediatamente si configurò su una parete liquida la sequenza dei cerchi della ‘shunza mnir’, la nostra mappatura dei quadranti tempo-spaziali. Il Vescovo eseguì un elegante minuetto con l’indice della mano, colpendo uno di quei cerchi, il quale reagì come uno stagno colpito da un sasso improvviso.
Espanse i suoi cerchi concentrici, sino a renderli vasti come la nostra stessa stanza. Poi il panorama divenne familiare: la sequenza dei enpeptidi, i nostri punti di riferimento del tempo-spazio.
- Queste sono le coordinate del luogo in cui avverrà il recupero. – fece il Vescovo.
Osservai bene il complesso disegnato dalla sequenza e replicai:
- Signore, non è il mondo verso cui stiamo navigando?
- Lo è. Ma non devi preoccuparti di questo. Conosciamo quella regione meglio dei suoi stessi abitanti.
- E’ abitata dagli umani, non è vero?
- E’ vero. Ma non credere che siano simili ai nostri sacerdoti, caro Anhyan. Gli umani terrestri sono un’altra razza…
- E…e in cosa differirebbero dai loro simili sacerdoti?
- Prima di tutto la maggior parte di essi è per lo più un gregge anonimo, che ha impulsi piuttosto bassi, facili a contenersi. Sono millenni che riusciamo a contenere la loro smania di caos, attraverso un controllo pedissequo e costante di questi infimi bisogni. E se qualcuno fra loro dovesse scoprire di poter essere migliore, superando i suoi imi istinti, come semplice reazione non faremmo altro che aumentare i suoi bisogni.
- Sono tutti così?
- Non tutti, ma la maggior parte. Ma poiché tu dovrai lavorare con ‘quel non tutti’ devo metterti in guardia. Se scoprono la tua identità o ti beccano nella dimensione U10-Uno, dove agirai, per te non ci saranno speranze, ti scanneranno… E credimi, se si distaccano dal gregge dei loro simili, questi soggetti diventano molto abili nel percepire i tuoi passaggi. L’U10-Uno è il parallelo dimensionale più pericoloso, per chi deve lavorare a fianco a questi individui. Ma è l’unico che consente di poter interferire ottimamente con la dimensione del loro mondo. Ti dirò: in diecimila anni di lavoro con questo sparuto gruppo di umani, ho perduto molte unità. Ti confido ancor più: su cento missioni di recupero, solo due o tre, sono tornate. E’ un gigantesco sacrificio di elementi validissimi, un colossale dispendio di risorse nella selezione delle linee di sangue della tua specie, adatte a questo scopo, con uno scopo sacro. Per questo fine tu partirai consapevole di morire, tacendo sulla tua triste sorte.-
- Ho giurato questo, Signore. La morte non mi preoccupa affatto.
In realtà in quell’istante mi fulminò la mente un pensiero: nessuno mi diede un’alternativa. Lo ‘Scopo Sacro’ dei miei superiori era da sempre stato il mio unico domani.
Il Vescovo annuì: - Bene, allora procediamo con l’esposizione dei dettagli.
Ascoltai quindi la missione
- Il recupero avverrà su un soggetto umano, il quale pare acquisito alcune informazioni, di cui non siamo certi sull’origine. Pensiamo però che il Rivelatore sia un elemento ostile, o, peggio, un Traditore Lacerta. –
Con un groppo nella gola, chiesi il motivo di tale idea.
Il Vescovo mi rispose: - Perché quel soggetto conosce la matrice delle Tavole Misteriche, e si tratta di un’informazione assolutamente irraggiungibile per un abitante di quel mondo. E’, quindi, logico che possieda un canale di informazione. E l’unico canale oltre il Rango Nero, o un Lacerta della tua linea di sangue, può essere solo un Elemento Ostile.
- Un…un Elemento Ostile?.... – balbettai con ansia crescente.
- Sì, ha inteso bene. –
- C’è da preoccuparsi? Come faccio a battermi se lo incontro? Non possiedo uno stato adeguato a sostenere un duello…- continuai
- Lo so benissimo. I Lacerta non hanno ma combattuto con un Elemento Ostile. A dire il vero non sappiamo neppure che reazioni potresti avere nell’incontrarlo.
- Ma se devo affrontarlo, non mi sottrarrò al mio destino.
Usai l’indicativo anziché il congiuntivo, poiché reputavo ormai tutta quella storia come la sottile, perversa, punizione del Vescovo alla mia sete di filosofia… E perciò la sentivo come una condanna inalienabile dal mio futuro.
- Benissimo. – esclamò, replicando alla mia affermazione – Mi rallegro nel poter essere servito da un così efficiente graduato. Terrò molta considerazione del tuo coraggio se riuscirai a uscirne vivo, Capitano. –

mercoledì 8 luglio 2009

il blog degli autori: Disegna e condividi on-line

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I GIORNI DEL SAURO 7

La sveglia interruppe il sonno della camerata.
Siamo in quattro a dormire nella stanza. Una bella conquista, dopo il grado di Capitano! Ero da sempre uso nel condividere il mio sonno con almeno una quarantina di altri miei simili.
Da quando ho data nella memoria, non ricordo una sola notte trascorsa in un letto solitario. Ma se si vive così a lungo in battaglia, tanto da raggiungere il mio grado, i materassi della camerata diminuiscono esponenzialmente. In futuro, dovessi sopravvivere ancora alla guerra, forse raggiungerò il letto singolo. Ma non era la guerra a minare le mie mire di longevità.

Desto, mi trascinai verso il bagno, mi lavai, pensando al mio incontro con il Vescovo.
Forse la cosa più temibile della morte in battaglia, era proprio il suo sospetto circa il mio comportamento. Però non manifestò, almeno non lo fece apertamente, il desiderio di punire la mia condotta col prete umano. Anzi, nella mia agenda, oggi, avrei dovuto svolgere un delicato incarico per suo conto. Fra meno di due ore, sarei dovuto essere al suo cospetto. Mi accennò, anche, sulla possibile presenza di una ‘gerarchia superiore’, la quale avrebbe presieduto alla riunione. Non mi sono mai piaciute le gerarchie superiori. I Sauri Alti sembrano essersi sposati con loro, invece. Hanno una sudditanza quasi ripugnante nei confronti di quegli esseri, dei quali credo neppure sappiano bene come sono fatti. Ma si può servire una razza di cui non conosci nemmeno i connotati?
Per noi rimane folle e insondabile, il viscerale amore che gli Alti Sauri nutrono per la gerarchia superiore. Degli umani, invece, non so dire molto. Sembrerebbero obbedire a chiunque porga loro una possibile protezione, tale da poter essere nel loro stesso mondo potenti quanto inviolabili. Ma è una mia impressione. Magari sbaglio. Non ho il piacere di aver conosciuto molti umani in vita mia; i pochissimi che ho incontrato erano per lo più Chierici.

I Chierici appartengono a una casta ‘immobile’, dal nostro punto di vista: cioè provengono da alcune scuole militari-esoteriche, e sono addestrati solo a svolgere il loro ministero all’interno della struttura Vescovile. In pratica sono la classe ‘borghese’ che serve ai Vescovi per tenere il conto delle entrate economiche, e non solo, nei templi. Sono una specie di pallottolieri templari. Difficilmente riescono a inserirsi nel quadro dell’Alleanza, e non sono guerrieri scaltri o strateghi esperti. Gli umani sembrano pesci tropicali che nuotano nelle correnti artiche.

La riunione era imminente. Mi aggiustai il colletto dell’uniforme. Avevo indossato la divisa storica, per via della presenza di una gerarchia superiore.
Calzai l’elmetto piumato, la spada alla cintura, e la fascia di seta blu mi cinse i fianchi.

Percorsi il corridoio, mentre lo camminavo in quel momento, mi parve l’antro recondito di una grotta segreta, sepolta da ere di tempo perduto.
La luce delle plafoniere sulle pareti a volta, rimbalzava sui miei schinieri d’oro. Il leggero clangore della spada, sbattuta contro la cintura, segnava i miei passi, come un orologio acustico. Giunsi al portone nero, oltre il quale vi era la Zona Vescovile. Le guardie mi salutarono scattando sull’attenti. Ricambiai il saluto. Notai che indossavano la livrea d’onore, allora mi fu chiaro: la Zona Vescovile era abitata, in quel momento, anche da una Gerarchia Superiore.
Entrai.
La sala era quella enorme, dedicata alle riunioni con le Istanze Alte (quelle, in parole più pratiche, appartenenti alle razze la cui stazza corporea supera il 2 metri di altezza e i duecento chili di peso) Le Istanze Alte rappresentano il comando supremo dell’Alleanza, perciò tanto i Lacerta, quanto gli Umani, non sono contemplati in alcun ruolo di alto comando. Le Gerarchie Superiori invece sono il gradino successivo alle Istanze Alte, nel comando. Chi sono? Nessuno può dirlo con certezza. Solo i Vescovi possono conoscere il nome di una gerarchia superiore. Nessun livello inferiore può essere a conoscenza dei loro nomi.
Mi avanzai dentro la sala.
- Signori, il Capitano Anhayan del regno di Sylverlan è al vostro cospetto.
Il Vescovo, con un movimento lento e maestoso si volto, lasciando fluttuare il suo mantello sulle sue spalle.
- Capitano, bene, ti stavamo aspettando. Vieni avanti.
Obbedii. Scorsi oltre il tavolo delle riunioni una sagoma imponente, ma allo stesso tempo, leggera, ammantata di una luce bianca abbacinante. Era la forma fisica di una Gerarchia Superiore. Anche questa si voltò verso di me. Non appena i suoi occhi di un blu freddo, oceanico, senza espressione, mi furono sopra, dovetti abbassarmi sulle ginocchia.
Fu il Vescovo a rompere il terribile silenzio.
- Signore – fece, rivolgendosi alla Gerarchia Superiore – il Capitano Anhyan è il soldato più adatto al genere di operazione da effettuarsi.
La Gerarchia non proferì alcun ordine, annuì solo, freddamente, alle parole del Vescovo. Questi riprese:
- Anhyan proviene da una linea di sangue selezionata per contenere le informazioni sui Culti Misterici. – diceva mentre stavo ancora in ginocchio. Non potevo scrutare i miei superiori nel volto mentre disquisivano, ma udivo i loro discorsi.
La gerarchia superiore finalmente emise alcune parole, con una voce sottile, pacata, al limite della docilità. Non mi ci abituerò mai a quella voce. Sembra di ascoltare il vecchio saggio della montagna, ma dietro a quella voce si cela il profondo mistero della Gerarchia: un essere la cui perversione e malvagità segue di pari passo la sua immaginazione.
Disse, rispondendo al Vescovo:
- La linea della selezione di Syverlen…E’ l’unico ceppo genetico autorizzato a mantenere nelle memorie quelle Tradizioni. Sì, abbiamo fatto un buon lavoro. – concluse compiaciuto.
Quindi con un cenno al Vescovo, lo esortò a spiegarmi i dettagli della missione assegnata.

lunedì 6 luglio 2009

I GIORNI DEL SAURO 6

Non vi sono tramonti naturali nella memoria di quelli come me.
Assistiamo al potente spettacolo dell’universo da una loggia troppo alta del teatro. E la sottile linea rosata sull’orizzonte dei nostri sguardi non altro è che un semplice riflesso virtuale di un desiderio. Stavo nella sala dei ricordi per questo, quella sera. Contemplavo una luce sgorgante dal grande diamante centrale come acqua nativa di montagna, ma non ero solo. Accanto a me vi erano altri ufficiali, tutti rettili.
- Ieri ho ancora fatto quel sogno…- mi confidò Hemeyunn, una ragazza di qualche anno meno di me, un capo manipolo delle unità mediche. La donna aveva un’aria stanca e afflitta, mentre si aggiustava l’asciugamano immacolato sulle spalle. L’aiutai a calzarlo, quindi le dissi:
- Perché dobbiamo sbatterci così per qualche sogno?
- Ma ogni santissima notte!! Ti rendi conto?? Perché?
- A dire il vero non lo so il perché… Ma piano, piano, in quest’astronave tutti stiamo scivolando verso questi …sogni…-
- Che cosa vuoi dire? Che stiamo facendo tutti lo stesso sogno?-
- Ne abbiamo parlato…Sì. Sempre quella donna che scappa disperata sul crinale di una collina, con un piccolo avvolto in fasce di fortuna. Tutti e due sono coperti di cenci, disperati, Fuggono, senza voltarsi indietro, come se la morte li braccasse senza pietà…
E il capo manipolo:
- E il sole? Non c’è sole in quel sogno. Tutto ha una luce opaca, fredda, talora riesco a vedere anche l’inseguitore…
- Ah sì? Questa è una cosa nuova…dimmi.
Lei: - Non è molto chiaro, sembra un gruppo di … hai presente i cavalieri templari umani? Quelli che si vedono alla televisione…con le armature bianche e crociate…-
-?? Sì…ho in mente quello che dici: i Templari.
- I Templari, certo. Ma non li vedo in volto, hanno gli elmi. E un emblema viene portato avanti alla squadra degli inseguitori, da uno dei cavalieri.. E’ un’aquila…un aquila col le ali spiegate, e nel suo petto vi è inciso il muso di un leone…
- Uhm… tutti animali terrestri.
- Sono familiari, d’altronde stiamo studiando la natura terrestre da una vita.
- Già…- feci, sospirando. – Ora fa’ silenzio! – scattai in piedi. La ragazza si spaventò, ma poi capì il motivo del mio sobbalzo.
- Il Comandante!- urlai.
Nella sala si era avanzata la figura imponente ed enorme di un Vescovo. Tutti saltammo sull’attenti.
Il Vescovo si arrestò sull’ingresso. Mi lanciò un’occhiata quasi torva, con i suoi occhi grigi e freddi come laghi di un pianeta senza vita.
- Anhayan…devo parlarti, raggiungimi sul Ponte della Guardia.- fece, secco,
senza indugi. Poi si voltò, lasciando fluttuare il grande mantello nero sulla schiena mentre si allontanava. Scattai sull’attenti.
Non appena fu lontano, fuori dalla vista, ci rilassammo tutti.
Il medico mi guardò preoccupata: - O dio, chissà che vuole da te, con quel tono!- mi disse.
Scossi il volto, rispondendole: - Non so… forse il soffio di qualche spione…- dissi, pensando al prete umano e al nostro breve confronto dialettico.

Mi apprestai nel percorrere l’infinito corridoio che separava la nostra area dall’abitato dei nostri superiori. Un peso mi portavo, come un pellegrino sulla via romea: l’obolo della mia coscienza al mio dovere di ufficiale. Alla fine quel fardello lo avrei dovuto spendere in un modo o nell’altro: pagandolo in pegno di una vita senza più troppi problemi morali, oppure lasciandolo laddove avrebbe conosciuto la sua vera sorte: alle fonti della mia vita, una volta scoperto dove fossero.
Il portone grigio rifletteva una luce densa e metallica sulle pareti esterne. I triangolo accoppiati indicavano che ero davanti alla sala del mio Superiore.
- Sua Eminenza, eccomi a rapporto. –
Scattai sull’attenti.
L’imponente corpo del Principe ammantato di nero, mi era di spalle. Attesi in un mortale silenzio la sua voce. Ma per alcuni istanti non udii nulla. Rimasi lì, aspettando la sua voce. Egli scosse il capo, quindi maestosamente si voltò verso di me.
- Anhayan, tu sai quale è il tuo destino?
Mi chiese, con il timbro roco e profondo di questi esseri.
_- Signore? Non…non capisco.
- Il tuo destino. Il tuo giuramento, Anhyan
- Il mio giuramento? Sono un Capitano della Sacra Armata Siriana, mio Signore.
- Infatti. E per chi combatti?
- Per il Sacro Regno di Sirio, Signore.
- Certo…- fece, con una calma sinistra.
- Signore…non capisco…
- Perché, cosa c’è da capire, Anhyan?
- Il motivo per cui mi ha chiamato a rapporto.
- Ti ho chiamato qui, Capitano per sincerarmi su una fastidiosa storia.
Capii allora che il prete aveva soffiato tutto sulla nostra conversazione. Cercai di evitarmi le ire funeste del Vescovo, anticipando con la mia versione, la faccenda.
- Signore, posso parlare?
- Parla
- Se la storia fastidiosa si riferisse alla mia abitudine di intraprendere disquisizioni filosofeggianti con i prelati umani…
- In effetti. Mi spieghi cosa c’entra il tuo destino di soldato del regno con la filosofia?
- La filosofia, signore? La filosofia…nulla. Non serve a nulla. Ma la mente conserva l’istinto di pensare. Anche in guerra.
- Se quell’istinto persevera in pensieri che allontanano dalla certa via indicata, non è contemplabile nei nostri pensieri.
- Ma io…chiedo scusa, Signora, cosa vi farebbe pensare che io mi stia allontanando dalla Via?
- Il sacerdote mi ha riferito che durante il rito non osservi la contemplazione alla Kabbà. Questo è altamente sconveniente, specie per un ufficiale, che dovrebbe essere d’esempio per il resto dell’esercito.
- Se è solo questo, Signore…Dissi al prete umano che la mente spesso vaga nell’infinità della volta sacra, attratta dall’estasi della contemplazione…non sempre gli occhi fissi su un punto indicano la vera meditazione…-
- Ti sbagli, Anhyan. La mia specie conta cento milioni di anni di storia, e da questa immensità temporale ha dettato i principi per il culto di Jehovea al resto dei popoli nell’universo. La Legge è stata portata negli angoli più oscuri dei mondi abitati, perché essi non cadessero nel caos e nella barbarie. La Legge è stata affidata al Sacro Esercito del quale tu sei parte, perché fosse rispettata senza appello alcuno. E’ di infinita importanza che il culto da noi imposto ai nostri soldati venga rispettato fin nei dettagli più impercettibili.
- Capisco…ma… cosa vi è di sbagliato nello scegliere il pellegrinare del proprio sguardo anziché la fissità della pupilla, per seguire la contemplazione…?
- Cosa? Tu non puoi neppure affacciarti alla sua importanza. Noi abbiamo innanzi l’intera causa di questa necessità, ma non tu, né gli umani, né alcun’altra specie potrebbe capirlo. Hai invocato un giuramento un tempo, ricordi?
- Lo ricordo, Signore…certo.
- Bene, allora dimmi come finisce…
- Come finisce? Sì…finisce così: ‘ Per Allath, Shalzad, Ammant, mi siano vicini gli Anunkat, invoco la clemenza di Jehovea e delle sue genie, mentre giuro di difendere strenuamente il sacro verbo del Regno Unificato di Sirio, di combattere per l’inviolabilità del suo soglio, senza lesinare nulla di me, sino a versare il mio sangue e lasciare agli dei creanti il mio ultimo respiro. Giuro questo, e se non dovessi, per viltà, rispettare questo giuramento, venga io maledetto e mi si sfasci la Casa, la mia gente mi rinneghi, la mia terra mi affami.’ … Ecco, termina in questo modo il Giuramento, signore.
- Bravo…ottima esposizione, sono colpito dalfatto che tie ne ricordi in modo così nitido – esordì il Vescovo. – Il Tradimento è una cosa indecente. Ne convieni?
- Il tradimento? E’ un atto orribile, certo, Signore.
- Indegno per un combattente. Ancor più se questi è un Capitano delle fila di un esercito sacro al tempo e agli Dei.
- Ne convengo – Cominciavo ad aver paura, la voce del vescovo era paternalistica, ma anche di una calma irreale.
- Non aggiungo altro, comprendo la tua intelligenza. Mi aspetto molto da te. Un Capitano ha un valore infinitamente superiore rispetto a un semplice servo dell’altare. Per me i meriti acquisiti sul campo di guerra non sono la stessa cosa di quanto è stato arraffato politicamente…Ora va pure. Sono certo della tua assoluta fedeltà.
- Grazie Signore – scattai sull’attenti, e obbedii, uscendo dalla sala.

Tornai verso la nostra area. Ripercorrendo il tunnel mi parve di udire ancora quelle parole del Vescovo, risuonare, tetre nella mia mente… E l’acclamazione della sua fiducia sapeva del suo contrario…

domenica 5 luglio 2009

HAQQAD

Il Cuore della Foresta di Haqqad
[racconto completo]

Quando muore un tuo compagno d’armi a bordo dell’Astronave, senti il suo soffio vitale salutarti lungo i ponti degli hangar, i corridoi di collegamento, sino alle gallerie più interne, e sulle cabine di osservazione. Il suo respiro ti chiama lungo i soliti percorsi intrapresi ogni giorno assieme al tuo amico e fratello. Egli non se ne va mai via definitivamente, ma ti rimane sempre qualcosa del suo spirito, accanto. Conoscevo Haqqad da quando eravamo piccolissimi. Abbiamo avuto la stessa scula di guerra, siamo cresciuti nella stessa fattoria siriana, studiato le stesse arti belliche con i medesimi maestri. E ci siamo specializzati nella Scuola in una stessa disciplina: Analisi Comportamento Umano, ACU.
Abbiamo preso i gradi nello stesso periodo, e occupato un ruolo paritario, sebbene Haqqad fosse considerato l’Anziano del servizio. Questo perché la sua saggezza durante le missioni ha spesso condotto con successo operazioni difficili e molto sottili. La sua calma, la sapienza, e l’ispirazione donavano al capitano una grande capacità di risolvere questioni ostili alla nostra specie sulla Terra. E il suo consiglio era spesso ascoltato dal Comandante. Non mi dispiaceva averlo come mio diretto superiore nella Squadra.
La missione stavolta era stata escogitata per ottenere consenso degli umani circa l’utilizzo di certe fonti di energia naturale: i soffioni di vapor acqueo che caratterizzavano la piccola provincia di Hookpeak, una comunità di montagna, vicino ai confini canadesi. Si doveva preparare tutto in modo non violento, perché il Comandante stava conducendo con un certo successo alcune operazioni diplomatiche con il Canada e gli stati USA ai confini. Una volta rese ‘docili’ quelle provincie, sarebbe rimasta dell’ostilità solo negli stati del Sud degli States, come la California, la Florida e il Texas… Ma un problema alla volta, si disse fra noi.
Haqqad venne chiamato a pianificare la missione. E io con lui. Noi lavoriamo prevalentemente sul campo, sicché approntammo una stazione di comando nel piccolo villaggio montano di Hookpeak.
E qui comincia la nostra storia.
Il Paese è immerso in una riserva indiana, uomini dalla pelle di bronzo e dai tratti arcaici vi abitano, parlano una lingua, oltre l’inglese, che è unica nel suo tipo: nessuna grammatica umana le si accosta per familiarità. Non ho mai incontrato mammiferi simili.
– Sono discendenti degli Shawnee… -
Mi disse Haqqad, che invece era piuttosto esperto in questo tipo di esseri umani.
– In verità appartengono ad un ceppo più antico, molto più antico… Tanto che la loro stessa lingua risulta unica. Vengono dal profondo nord, non si può stabilire con precisione il luogo esatto, e soprattutto non si vuole stabilire.-

Le parole di Haqqad mi riportavano alla mente uno dei motivi per cui mi rimane difficile capire i terrestri: la loro contraddizione in termini di ‘pacifismo’.
Ma non potevo chiedere molto su quell’argomento, il nostro compito era troppo delicato e una mia simile curiosità sarebbe stata scambiata per un atto ostile nei confronti degli umani. Però condussi alcune ricerche per mio conto. E mi accorsi che effettivamente quei nativi non erano Shawnee puri ma antichissimi uomini-cacciatori, di una tribù oggi estinta dalle antichissime quanto oscure tradizioni.

- Non indagare troppo, caro Makko, - mi consigliò il mio amico. – Non siamo qui per questi uomini, ricordalo! –
Una volta, passeggiando per il villaggio, mi sentii osservato. Le case, tutte dai tetti spioventi e in fila fra loro, donavano al paese un aspetto davvero ancestrale. Giunsi davanti a una chiesa cattolica. Recava ancora la vecchia scritta: ‘Missione Cristiana dell’Ordine dei Padri Cristoforiani’. Da sempre sono tentato nell’oltrepassare l’uscio del sagrato di una chiesa cristiana, ma mi è impedito. In quanto ‘rettile’ non ho un buon rapporto con i sacerdoti di questo culto. Per motivi diplomatici evitiamo quindi di superare quell’ingresso. Ma stavolta non ebbi il coraggio di resistere al mio istinto, ed entrai. La chiesa era molto bella e austera. Il grande Crocifisso ligneo troneggiava oltre l’abside e sembrava mettermi in guardia dal compiere un altro passo in avanti. Cercai di evitare quel monito e mi inoltrai nella navata. La suggestione forse di tutte le storie che avevo udito sul rapporto Uomo Cristiano- Rettile, mi mise un’ansia crescente, ma continuai nella mia esplorazione. Certo che se uno di loro mi avesse scorto, non ne sarei uscito integro! Una cosa mi colpì moltissimo in quell’edificio: le pitture. Tutte riguardavano una specie di ‘guerra’ contro un essere evidentemente rettiliano, forse un drago, e le popolazioni che lo combattevano avevano dei tratti somatici un po’ diversi dagli abitanti del paese. Capivo perché nessuno ci vuole nelle chiese cristiane, ma non pensavo che l’odio nei confronti della mia classe vivente potesse essere così concepito!
E’ anche vero che non sempre è così.

“Dagli Inferi t’invoco, mio Signore…”, lessi scritto sull’architrave dell’abside.
Inferi? Ma l’inferno non è la dannazione eterna nella religione dei cristiani occidentali? Gli umani sono fatti in questo modo: hanno i loro schemi, il loro mondo, le loro ferree leggi, ma in ogni comunità alberga un microcosmo, un substrato ‘altro’ dal mondo in superficie, conosciuto. In ogni umano c’è una specie di ‘diario segreto’ che lo separa dal resto della sua specie.
Ero talmente assorto nelle mie speculazioni sugli umani che non mi accorsi di una grave presenza dietro di me. Mi voltai e mi accorsi sobbalzando della figura cupa e poco ospitale del ‘temporaneo padrone di casa’. Il prete era vestito di nero, quindi intuì si trattasse di un Cattolico. – Mi dispiace…io, io non volevo essere invadente…ma questa Chiesa è davvero bella…- Dissi, sperando di non suscitare problemi ‘diplomatici’, perché altrimenti Haqqad mi avrebbe ucciso, dopo tutta la fatica per ingraziarci gli abitanti della comunità! Il prete sospirò, quasi con senso di superiorità, quindi si degnò di rispondermi:
- Sì, in effetti è un bell’edificio, l’hanno eretta nel mille e settecento, e tutti gli intarsi che l’adornano risalgono a quell’epoca. –

Nelle sue parole si poteva percepire la domanda: “Che diavolo ci fai, dannato rettile, nella mia Chiesa?”, istintivamente risposi a quell’inespresso interrogativo:

- Sono entrato solo per ammirare questi legni e queste opere alle pareti…Esco subito.-

Il sacerdote mi fermò mentre stavo tirando la porta. Mi voltai, incuriosito.
– Signor… - mi fece e io a lui:
- Mi chiamo Mak. –
e l’umano: - Bene signor Mak, non abbia fretta nell’andarsene. Io sono Padre Harmon, e forse non è una coincidenza che l’abbia trovata nella mia Chiesa. –
Rientrai nell’edificio, disorientato.
Lui continuò: - Lei è il ‘collega’ dell’Alieno Haqqad, non è così? -
- Il Capitano Haqqad è il mio diretto superiore, in effetti. –
Il Sacerdote mi invitò ad accomodarmi su una delle panche, cosa che mi lasciò perplesso.
Mi sedei.
– Sa che questa Casa di Dio è stata eretta a memoria di un’epica battaglia divina? –
mi fece. – Il Drago venne ucciso da San Giorgio, mentre sembrava che tutto fosse perduto per la gente del villaggio assediata dalla bestia. Iddio lo mandò per liberare gli uomini dalla presenza del mostro, sicché questi furono liberati dal male… e voltarono finalmente i loro cuori a Cristo… -

Mi insospettì, ma sperai che continuasse quello strano racconto. L’umano invece si fermò, levò i suoi occhi grigi, dai tipici riflessi di vetro, verso la volta dell’abside.
-…Dovunque l’uomo abbia raggiunto l’abisso della sofferenza invoca il Padre, perché invii nuovi emissari di Luce… -
Riprese.
– Non capisco cosa mi sta raccontando, soprattutto perché me lo sta raccontando, signore…- feci. L’uomo mi fissò, poi replicando, disse:
- Attento, perché questa comunità ha in cuore lo Spirito dell’Impresa di San Giorgio… E molti sono i Cavalieri dell’Ordine che vedono i Draghi assediare ancora una volta la Comunità Umana. Haqqad è stato una volta un mio amico, mi ha aiutato in certe ricerche. Ma ora non posso indulgere sulle mie posizioni. Sono il Cappellano Militare dell’Ordine, e non accoglierò ancora i Draghi. Volevo che Haqqad sapesse questo. Non ci saranno scontri se il Drago lascerà spontaneamente questo paese. San Giorgio non brandisce inutilmente la sua spada… -

Rimasi atterrito. – Padre Harmon… sta minacciando me e i miei fratelli?- chiesi, impietrito da un’orrenda emozione.
L’Uomo mi guardò, sorrise in modo superficiale e rispose:
- Non è assolutamente una minaccia, questa. La prenda per una certezza, invece. Dica al suo Capitano che presto potrebbe esserci un terribile scontro… Ed è assolutamente inutile che mi uccidiate, ragazzi. Non sono che il messaggero dell’Ordine, gli eventi accadranno anche senza di me. –

Mi alzai in piedi e uscii dalla Chiesa. Se guai diplomatici perturbavano l’orizzonte della Missione, non sarebbero certo stati opera della mia incursione in quell’edificio!
Mi recai al campo base, cercando Haqqad.
Una giovane ricercatrice mi disse che lo aveva visto incamminarsi lungo il sentiero del bosco che porta alla Riserva dei Nativi. Con un macigno opprimente sullo stomaco, mi incamminai di corsa anch’io lungo quel tragitto, tanto stretto da potersi percorrere a stento.
Corsi, a dire il vero, sino a raggiungere il cuore della Riserva Indiana.
Mi mossi fra le tipiche tende preistoriche erette a ricordo di un mondo ormai scomparso, cercando il mio Capitano Anziano.
Un enorme Uomo dalla pelle di bronzo arrestò d’improvviso la mia ricerca.
I capelli raccolti in trecce grosse come rami di albero, adornati con penne di falco, mi diedero l’impressione di avere davanti un guerriero ancestrale, e mi soffermai gonfio di uno strano senso di rispetto. Gli chiesi quasi costernato, informazioni su Haqqad. Ma lui non ebbe il minimo fremito di emozione. Cominciai a sentire in me strani presentimenti. L’Uomo notò il mio malessere.
– Sai perché ti ha portato sino qui? – mi disse.

Ebbi uno scatto: ero diventato nervoso, triste, troppo irrequieto per riflettere. Lui non diede retta alle mie emozioni e continuò:
- Devi imparare una cosa, ascoltami. Haqqad ci conosceva già tutti in questo villaggio. Noi siamo Hoorweek: antiche famiglie di cacciatori provenienti dai gelidi deserti del lontano Nord - Est. Siamo gli Sciamani che hanno percepito per primi la Mente di Sirio… Haqqad è andato molto oltre le normali vie sciamaniche e ora non lo cercare, ormai non potresti più trovarlo… Lui non può più combattere la guerra che altri preparano contro suo padre il Drago. Ma tu invece sei forte. Lui ti ha addestrato a seguire le vie della Casa Ancestrale. Ora sii coraggioso. Non ti ha lasciato solo. Ma sa che il Drago combatterà molto e dovrà sacrificarsi per lasciare a compimento l’opera del vostro Re. Solo così sazi di sangue gli altri uomini potranno sedersi con te, e trattare. Haqqad ti ha sempre voluto bene. Ma ora non lo cercare…-

Rimasi talmente disorientato che la collera e la tristezza montarono assieme in un turbine di sensazioni oscure.
Dov’era Haqqad? Che gli avevano fatto? Perché i Nativi presero una simile posizione rispetto ai loro simili del Paese? Che volevano da noi?

Scansai l’Uomo con un fremito rabbioso, ero atterrito dal presentimento che qualcosa di orribile fosse accaduto al mio amico. Lontano, guardando verso un recinto notai un movimento di umani. Mi accostai, accompagnato dalla mia orrenda sensazione. Mi gettai oltre lo steccato e raggiunsi il cuore di quel brulichio umano. Lanciai un grido disperato. Haqqad era riverso per terra. Una ferita devastante gli aveva aperto letteralmente il petto. Il suolo era intriso del suo sangue. Nella mano destra impugnava una spada pesante, la riconobbi era Shallenn, la sua spada, la lama della sua Tribù.
Possibile? Guardai attorno: un uomo, vestito con una tunica bianca invece brandiva un’altra lama.
– Sei stato tu… - ringhiai.
Tutto però mi faceva pensare a un duello.
In quel caso nessuno era colpevole. Haqqad era morto nell’Onore. Ma come potevo esserne certo? Non potevo prendere l’Arma del mio Amico, anche se mi aveva sempre promesso che se fosse morto prima di me, Shallenn sarebbe stata mia, ora non era pronta per vendicare il suo padrone.
L’avrei dovuta ricondurre dal Capo Stirpe della Tribù, per passarla nelle mie mani. Però in quell’attimo venni catturato in un sogno vivido e reale: Haqqad era in piedi davanti a me e senza traccia di quell’orrenda ferita. Si era sacrificato perché io conducessi a buon esito quella Missione? E perché?

– Ora i Cavalieri sono sazi del sangue del Drago: il mio tempo è concluso nel mondo. Tu sei colui che porterà a termine la Missione e avrà l’Onore dell’Insegna Reale…Il mio dovere era un altro… -

Quelle parole mi scossero nelle profondità dell’animo. Haqqad era davvero un grande saggio. E forse tutto quello che ha compiuto, era destinato a essere storia di un altro mondo, né di Sirio, né della Terra.
Ora io sono Comandante di un’Astronave, nonostante non venga dalla Scuola Militare, la Missione ha avuto un ottimo esito e le conseguenze sono state un rinforzo delle nostre linee d’avanzata… ma perché accadde tutto questo? Ancora mi sfugge il senso del disegno di Haqqad e dei suoi amici sciamani. So che vogliono altro che non sia la Guerra fra Terra e Sirio. Ma hanno lavorato perché le nostre truppe si potenziassero… Perché? A quale scopo? Io non smetto mai di pormi queste domande, mentre pianifico altre missioni, scrivo rapporti per il nostro Sovrano, interrogo i combattenti Umani. Continuo in questa Guerra a chiedermi il perché del sacrificio del Drago… di Haqqad.

***

sabato 4 luglio 2009

Il Cielo Selvaggio

Il Componimento è stato rinvenuto presso un archivio della polizia segreta francese. Si pensa appartenesse a una donna umana, la quale venne accusata di essere collaborazionista con gli alieni. In casa teneva questa Poesia, composta da un alieno, come lei stessa ammise. E' probabile, lla luce delle nostre attuali conoscenze, che ella e l'alieno fossero legati da un sentimento amoroso.

Tienimi la mano e segui i miei passi
Andremo sul fianco delle stelle
Ti porterò ai confini
e quandi alla soglia di Sirio saremo soli
Ti Parlerò di un mondo dai giorni lunghissimi
e di un popolo caduto nell'antro del buio,
segui i miei passi sulle sabbie di Sirio,
ti porterò al cuore del Vulcano
lì guarderemo le stelle crearsi
e ti parlerò di un popolo quand'era senz'odio.
Adesso è alta nel cielo Sirio,
e nascono le Lune Bambine,
prendimi la mano, questa notta non avrà fine,
perchè questa è la sera che scende su Sirio,
lenta e lenta si leva in volo
nel fuoco del deserto alla mattina.
Non temere il buio su Sirio,
sono le ali di un vecchio cielo
che saggio e antico ci narra storie,
ci chiede di tornare ad ascoltare leggende:
è il vecchio cielo di Sirio.

giovedì 2 luglio 2009

I GIORNI DEL SAURO 5

“La realtà manca di un anello di giuntura.”. Esordii, mentre il prete umano,
avvolto in una tonaca immacolata, emetteva i suoi strali contro le striscianti tendenze eversive di alcuni soldati come noi. Cosa avesse da imprecare, me lo chiedevo in silenzio. Avevamo combattuto, ricambiando la cortesia del nostro ospite, giunto sul nostro mondo tempo fa, e per secoli avviluppando le nostre terre con poderose catene psicologiche. Voi cosa credete? Prigionieri si diventa. Nasciamo liberi, ma poi una ferma volontà interiore ci corrompe l’istinto, trascinandoci in un mondo di regole, e imposizioni su livelli sempre più alti del nostro volere. Alcuni filosofi umani come il prete, chiamano questa discesa verso la sudditanza a noi stessi: ‘ Contratto Sociale’.
Il Contratto Sociale è in effetti l’anello mancante della realtà. E’ vero, molti animali sono gregari e si impongono regole di vita. Un lupo verrebbe sbranato dai suoi simili se non mettesse in atto le regole del suo branco, oppure morirebbe da solo, di stenti, in un inverno ghiacciato. Ma per un Lupo il Branco è dentro di se.
- Cosa ti è accaduto, Anhayan? Sei strano, in questi giorni sembri più..polemico.
Il prete mi chiamò dopo la celebrazione rituale, in disparte, dentro gli uffici della sagrestia.
- Polemico? Vossignoria, non capisco.
Feci, prendendo tempo
- Te lo spiego. Sembri perso, con lo sguardo fisso verso la volta della chiesa…Cosa stai cercando? Cosa ti distrae?
- Vossignoria vuole dirmi che osservo un altro punto, che non è la Kaab?
- Ci siamo capiti. In genere i rettili osservano la Kaab e il suo punto vuoto per contemplare le magnificenze del Signore.
- Le magnificenze del signore, vossignoria, essendo infinite, possiedono infiniti passaggi, non sempre, credo vadano a finire nel buco della Kaab.-
- Vedi cosa dico? – sbottò stizzito l’umano. – sei polemico! La Kaab non è un buco!-
- La Kaab è un punto d’ingresso, vossignoria, Voi lo sapete bene. Ma cosa sia per me, come faccio a esserne, io stesso, certo? E come può esserne sicuro un essere umano? Ascoltate, vossignoria, quante volte risuona la parola ‘essere’ nei nostri discorsi?
- Basta…questi non sono discorsi di un soldato! Avrai problemi seri se continui a pensare con questa testa.
- Se mai qualcuno me la toglierà.
- Ah, se continui in questo modo, la cosa accadrà presto, stanne sicuro.
- Il problema ora, non è se la mia testa verrà persa, o meno. La questione è stabilire l’accesso della scia divina nella Kaab. Perché l’essenza di dio, deve pessere costretta a passare attraverso quel cerchio di pietra? Forse dio non è libero di entrare dove gli sembra più consono?
- Madre di dio… Questo è il primo sauro con cui parlo di dio!
- Sauro? Io sono un sauro come lei voi siete un gorilla.
- I gorilla sono solo affini geneticamente all’uomo
- Anche i sauri sono solo simili a me.
- Va bene, tralasciamo il discorso sulle origini delle specie.
- Sì, trascuriamolo. E vogliamo dire alla coscienza di dio quale strada percorrere?
- No, con te non mi ci metto a parlare di teologia.
- Ma questa non è teologia. Secondo vostra signoria che cosa sarebbe?
- Discorsi fumosi attorno al nulla
- A me sembrano parole spese attraverso la cognizione di quanto stiamo vedendo ora.
- Appunto cos’è che stiamo vedendo? Nulla.
- No, stiamo contemplando il pensiero di dio e le sue infinite propaggini.
- Senti, figliolo, per me dio, non è un pensiero. E’ un concreto aspetto della realtà, è la realtà.
- La realtà? Se io fossi cieco, per me esisterebbe la cognizione del colore?
- Certo. E’ nella nostra memoria.
- Sì, ma potrei indicarlo? No…neppure se potessi descriverlo a parole. Prendiamo il colore rosso. Potrei spiegarvi: il rosso è il colore che fa infuriare i tori. Ma io sono un sauro, come dite voi. E non conosco la corrida. Quindi non posso parlarvi in quella maniera.
- Sì…ma non capisco dove vuoi arrivare.
- La realtà vista è la congiunzione fra altre infinite realtà. Diversi punti di vista… Ma nulla. State tranquillo. Non vi importunerò più, e durante la liturgia cercherò di rimanere più presente.
Mi levai dallo scanno, e con il suo permesso mi congedai dal prete. Ero certo che il prelato sarebbe subito andato dal Vescovo a riferire sulla nostra discussione. Non si sarebbe infatti potuto esimere dal dovere di informare il suo superiore diretto, di un simile comportamento da parte di un soldato.

In cortile al tramonto presso il pozzo centrale, solitamente si anima un’intensa vita sociale. Smessi gli abiti di servizio, ritrovati i comodi vestiti di sete e stoffe d’altri mondi, ci lasciamo trasportare nella sera senza accendere fari o lampioni, ma solo i lumi irrogati dall’olio di una pianta sempreverde. I lumi trasmettono l’aria della sera, attraverso l’odore lievemente acre del loro bruciare. Sentendo quei fumi disperdersi nelle vie e nelle caserme, sai che l’ora del riposo sta raggiungendoti.
Stavo godendo di una cedrata fresca e addolcita con del miele, mentre i fuochi della cena si stavano alzando lungo l’orizzonte della campagna. Mi chiedevo, ormai quasi ogni sera, quanto di tutto questo fosse naturale. Perché dovevo rilassarmi su quei pochi minuti, immaginando il mio mondo come il riflesso di un cortile e un chiostro attorno a un pozzo?
- Ayhan… cercavamo te!
Mi girai verso l’origine della voce, era Ghamall. Un rettile della mia stessa genia, nato come me dalle stesse linee di sangue.
- Mi stavate aspettando?
- Sì, ricordi il nostro impegno?
- Ah! Sì, sì. Scusa ero soprapensiero e mi son perso! Certo, arrivo subito, va pure a dire agli altri che sono pronto! – Feci, in ansia per un appuntamento quasi del tutto obliato.
Indossai un soprabito di panno leggero, adatto per proteggere le spalle dallo sfregare della tracolla. Quindi mi accollai la Shurana, e mi apprestai a raggiungere i miei amici.
Suonammo sino al primo chiarore dell’alba, quando i raggi del sole si fecero via, via, bollenti, decidemmo di concludere il nostro piccolo concerto in piazza.
Ormai erano andati tutti a riposare, e a me non rimanevano che due ore, prima di riprendere servizio.
Non so perché perdessi tutte quelle ore di sonno nel disperato tentativo di fare musica, ma lo facevo. La musica si perdeva ovunque nelle calde sere estive, fra le rocce ancora roventi del giorno, nei corpi tesi e sudati dalle fatiche, nelle gole umide di cedrata e miele. Forse era questo che cercavo: rendere vivo il mondo. Il nostro mondo, quella piazza, cioè, con un pozzo al centro, circondata dal chiostro, chiusa al resto della realtà.
Riposi, dopo averla curata con del grasso di palma sulle corde, la mia Shurana. La richiusi nel fodero, e la misi su una mensola del muro.
Ero solito tenere appesi degli articoli di giornale, che stampavo dal mio computer, sullo stesso muro della mensola. Li tenevo lì, quasi volessi affrontarli in una sfida muta. L’ultimo era un resoconto di un utente delle pagine virtuali:

‘ Il Sokoz decide di porre un limite alle emissioni di suoni nelle manifestazioni tribali: ancora nuovi divieti circa gli strumenti tradizionali dei rettili non appartenenti al Sokoz. Altri tre strumenti sono stati messi al bando. Da oggi questi strumenti musicali sono assolutamente vietati:
Ghumpomon
Foiana
Ghapta
….’

La Shuntana fu uno dei primi strumenti ad essere banditi. Gli strumenti a corde vennero eliminati quasi tutti all’inizio della presa di potere del Sokoz. Sokoz sta per Sopol kominte Zurama: unione amministrativa centrale. E’ il braccio politico dei sauri ‘alti’. I Sauri Alti sono i vincitori della Guerra, assieme al Popolo dei Mammiferi del Nord. Sia gli Alti, quanto i Nordici, non amano fare musica, anzi, sembra quasi la detestino. Quelli come me e moltissimi di quanti appartengono alla stessa razza del prete, gli umani, invece hanno un’idea e un amore del tutto diverso verso la musica. La gente simile a me trova nella musica il fuoco attorno cui ascoltare le storie di antichi mondi persi, e gli umani attorno a quel fuoco desiderano danzare. Noi raramente cantiamo, ma accade. Più di frequente sono gli umani a intonare melodie vocali. Ma da tempo ci venne interdetto di ascoltare il canto. Poi il divieto venne esteso anche agli umani, loro non dovettero più cantare. La voce fu il primo strumento a venire interdetto.
Ma nella mia caserma un qualcosa di musicale veniva tollerato. Il nostro comandante era una persona ragionevole e pensò che il divieto sulle passioni sarebbe stato deleterio per le sue truppe, lasciò così in molti di noi, le segrete inclinazioni.
Nonostante la tolleranza verso sporadici concerti messi in piedi alla buona, da un trio di racconta storie, con solo una Shurana un Flauto Dolce e un narratore, nessuno qui poteva ascoltare il canto degli umani. I militari umani erano separati da noi. Vivevamo in luoghi e tempi diversi. Scorre un racconto fra le due specie, così orrendo da tenerle separate da un muro di odio e di incomprensione reciproci. Si dice che circa settantamilioni di anni fa il mondo venne sconvolto da un bombardamento termonucleare globale. O meglio, del bombardamento è la mia razza a parlarne, gli umani, al contrario, dicono che fu un meteorite, un accidente del tutto naturale. Ma questa diversa visione dell’evento ha una sua precisa collocazione storica. Noi siamo stati scientificamente ‘estinti’ dal nostro mondo per il volere del Sokoz. Dopo di noi comparsero i primi umani. In realtà noi come questi ultimi, siamo contemporanei. E forse noi siamo un po’ più ‘nuovi’ degli umani. Il Sokoz, i Sauri Alti, videro che eravamo ottimi elementi per servire in un esercito e dare manovalanza ai loro mondi amministrati, non ci permisero quindi di vivere in un mondo nostro, ne’ di evolvere altre classi produttrici o una società diversa, da quella in cui viviamo da ere. Al contrario gli umani non essendo molto abili alle mansioni militari, ne’ all’esplorazione di altri universi, rimasero nel loro mondo. Il problema è che se pure la mia gente fosse rimasta nello stesso mondo originario, si sarebbe incontrata con gli umani, ed è probabile che tale incontro non fosse stato accettabile per i parametri evolutivi programmati dal Sokoz e dai Nordici. Sicchè una delle due specie avrebbe dovuto lasciare il campo libero all’altra. Si decise di ‘estinguere’ dal mondo la nostra gente, e mantenervi la famiglia umana. Oggi anche questa ha raggiunto un modello adeguato di funzionamento per essere impiegata nelle linee dell’esercito. Anche se non è effettivamente operativa, la razza umana, comincia a coprire alcuni incarichi interessanti. Non prese parte alla Guerra, e questo fu un punto di attrito fra il Sokoz e i Nordici. Questi ultimi vollero far coprire a gente umana alcuni luoghi di potere strategici, sia pure senza esperienze, ne’ meriti di Guerra. Alcuni umani presero ad amministrare alcuni siti di culto gestiti dal potere dei Nordici. Il Sokoz, malvolentieri, accettò la situazione, ma con una clausola: che i ministri di culto indicati dai Nordici venissero autorizzati anche dall’amministrazione centrale.
Sicché noi che ci siamo macellati sui campi di guerra, oggi siamo costretti a udire sermoni da chi, invece, se ne è sempre stato a vivere in pace nel suo mondo. Oggi non mi interessano più gli affanni della sopportazione in una simile assurdità, mi sono abituato a vivere accanto ai paradossi politici. Ma a pensarci il sangue torna sempre amaro. A differenza di quando ero più giovane, oggi so che la colpa di quanto è accaduto, non tanto appartiene alla bomba termonucleare, o al meteorite, quanto alla nostra inedia e inconsapevolezza, che ci ha legati a un destino ingiusto di sangue. Fu come se la memoria e la coscienza di un’intera specie vivente si fosse estinta al momento stesso in cui quell’assurdo incidente del cielo si schiantò nell’aria, ardendo tutto quanto esisteva sino ad allora. E il tempo, come lo spazio e la luce della mia gente fosse stata risucchiata all’interno del buco nero della deflagrazione.

lunedì 29 giugno 2009

I GIORNI DEL SAURO 4

La chiesa era stata scavata nella roccia viva, a forza di piccone e badile, quasi interamente a mani nude. Il colpo d’occhio a chiunque vi si fosse introdotto per la prima volta, avrebbe tolto il respiro. L’unica fonte di luce proveniva da torce appese sulla volta della grotta, e oscillanti, pendendo dall’alto, davano l’idea di strani oggetti liturgici di un culto atavico.
I ricordi della guerra risalivano potentissimi nella mia mente, così ferocemente da non riuscire a porre un pensiero logico in atto. Eravamo rimasti su quel prato, in quella primavera dannata dall’infame inganno. Tutti. Nessuno era tornato. Eppure alcuni di noi ora continuarono a vivere. Come me. Eravamo reduci. Reduci. I ri-condotti a casa. Ma quella lettera che giunse in una mattina d’inverno, mentre la neve cullava le spighe nascenti, e poi lunghi treni di soldati ai confini, ragazzi come me, finiti in primavera dentro un mondo lontano, avvlto dal fumo, dove morire.
Mille e settecento venti corpi avvolti in sudari bianchi dovetti guardare, 1720 stelle di un cielo opalescente. Eravamo duemila. Noi tornammo.
Ora non ho più il sangue sparso sulla mia pelle, e del quale non debbo preoccuparmi se sia il mio oppure quello di un compagno, o di un altro che come me, pensava di dovermi uccidere, altrimenti lo avrei fatto io. Non devo più lavarmi alla sera, quando occhi assassini pendono dalle vette, da ogni albero, dalle fosse di cemento armato. Ora la primavera torna a casa. Il campo davanti alla veranda è costellato di bianche margherite. Bianchi fiori, mille settecento fiori bianchi, bozzoli di farfalle distrutte, questa sera si dilungano come ombre inquiete su di me.
Nella chiesa speravo di trovare un cielo diverso. Ma la battaglia non riuscivo a seppellirla. Provai, tornando a pescare, a proporre uno scambio: la mia memoria, in cambio di un luccio. Ma qualcuno non ci cadde e si tenne il Luccio.
Io sono rimasto in quel campo. Il tempo mi ha seppellito, il tempo che impiega un essere innocente a morire. Impossibile ormai cambiare la storia.
Il temporale colpisce i nostri guerrieri, mentre sono ancora lontani. Il cielo si accende di porpora, l’aria è una sfera rovente, e il bosco diventa d’oro. Dopo la foresta, la città sfuma in una coltre gialla e nera. Nel campo la guerra non s’interrompe. Il colpo di maglio qui s’è abbattuto al massimo della sua potenza, dove l’invasore ha vomitato un milione di soldati.
Presto ci si accorge che non è stato un temporale a sorprendere le nostre truppe. Nulla è rimasto indietro. Inutile tornare a casa, ogni cosa che da sempre è stata, oggi si è schiantata.
E nulla esiste più di quanto abbiamo conosciuto prima.
Oggi rimango in questa chiesa, come se cercassi di parlare con qualcuno. In realtà rimango qui dentro da solo, perché sto cercando di capire. Devo capire cosa significa dio.
E una cosa l’ho intuita: non è in questa chiesa.
Allora è un rifugio ideale.
Ogni pietra, ogni soffio di fuoco, ogni anelito della terra che invoca pioggia, è solo un aspetto del dio, è solo un vago percepire la realtà.
Voglio capire perché mi si dice oggi che non sono più solo. Il prete è umano, dice che siamo tutti fratelli. Voglio capire perché lo dice.
Il fuoco e il vento, l’acqua e l’aria sono cose libere, non parte di alcun pensiero.

giovedì 25 giugno 2009

LA LEGGENDA DELLE STELLE SELVAGGE

Ballata misteriosa, forse circolava negli Staigh combattenti del Nord America, verso i confini fra Canada e Alaska. Non conosciamo molto sul ritmo e la muscia, ma è quasi certo che fosse una corale non accompagnata da strumenti.


Si protendono rami come vetuste ossa bianche alla luna,
mentre traspare dal ventre del vecchio sergente il fiore scuro
che si apre sul confine della vita,

a passi incerti s'inoltra nell'ombra della quiete finale.
Eppure questa notte guidata dai mammiferi appesi alla storia
sembra diversa, mio signore, e forse è per quel morituro,
per quel sergente lasciato qui a questa lunare baldoria
che solo i nostri regni sparsi nei cieli di Sirio ascoltano.
sotto quell'albero il sergente ha visto l'ultima sfida,
ha duellato come l'Onore comanda,
si è reso figlio di Araman alla storia dei suoi soldati,
e ora giace sotto l'albero, guardando la luna piccola
che falcia le stelle mentre di ronda in ronda
i mammiferi la cantano, allontanandosi dal sergente.
Chi sa, fra noi, come fra loro, quali occhi alla fine accoglieranno
i soldati che dormono finalmente sotto quest'albero?

martedì 23 giugno 2009

I GIORNI DEL SAURO 3

Erano prossimi, in fine della storia, a realizzare il loro destino.
Anni Luce di viaggio, la loro vita resa per sempre sui ponti delle immense astronavi, passando di mondo in mondo, attraverso le innumerevoli dimensioni della Fisica.
Momenti scanditi come la polvere di una clessidra collettiva, da pensieri rimasti a casa, sulle verande delle fattorie, fra i campi di grano, e nelle mandrie.
L'echeggiare della loro storia tornava impetuoso come un rio di una giungla pluviale, creando nebbie di ricordi.
Isoltati dal loro mondo originario, perso per sempre, cominciarono a ricordare cosa accadde...


accade prima di adesso:

L’INGANNO

L’aria friggeva di sangue ancora caldo mentre evaporava dai corpi dei soldati morti, sparsi su tutta l’infinita pianura. Il vento del nord est sfiatava la sua corsa dal mare aggredendo i superstiti, rendendo i loro corpi, le loro membra e il loro nervi rigidi come stoccafissi. La linea del fronte aveva ceduto. La neve era impastata al sangue e alla terra, in una poltiglia che rimodellava i fianchi delle lievi alture. Ma su quale parte in gioco avesse vinto non era affatto chiaro ancora. Le moltitudini di cadaveri sembravano ridisegnare nuovi ranghi, di un esercito spettrale le cui fila erano quasi senza fine. Cercai di governare in modo dignitoso la ripiegata dei miei, avevo solo un pugno di combattenti, ma li dovevo ricondurre a casa. A casa… mi veniva spesso da ridere pensando a questa parola. Quei disgraziati una casa l’avevano ancora? Da quanto tempo combattevamo ormai? Anni? Decine di anni? Secoli? Chi più si ricorda ora la strada verso casa? Per quel che mi riguarda, se mai un tempo l’ebbi mai avuta, ora di sicuro non possedevo più neppure una famiglia a casa. Per il resto dei miei soldati credo fosse lo stesso. Femmine? Avevo perso tutte le guerriere, e due anni fa cominciò a circolare quello che dapprima sembrava essere un attacco psicologico del nemico, ma poi coll’andare avanti del combattimento, divenne palese come una reale tattica di guerra: a casa ci stavano sterminando le nostre donne. Una tiepida mattina di primavera l’anno scorso, uno stormo metallico bianco passò sulle nostre teste, tanti apparecchi che si muovevano come un’unica creatura nel cielo. La creature poliedrica vaporizzò nell’aria una nube azzurro-gialla, che si raffreddò e cadde su di noi come grandine. Pezzi di uno strano ghiaccio secco grossi come pugni ci piovvero addosso. Ma il dolore per i colpi non fu nulla in confronto a quanto venne in seguito. I cristalli caddero in terra, il sole li fuse e vaporizzarono. Il fumo dei loro vapori sembrò intossicarci, ma mentre i soldati maschi non ebbero nulla di peggio che un’irritante tosse secca, le femmine cominciarono a vomitare sangue, a cadere in terra contorcendosi, e poi l’una dopo l’altra morirono. A quel punto non rimase che la guerra. Noi e i morti: noi e la guerra. Dovevamo ancora combattere, perché ormai indietro non saremmo più tornati.

Ora della Sesta Armata Corrazzata Reale d’Attacco, la SACRA, non rimanevano che ombre di un passato oscuro, immemori della loro via di ritorno, destinate a errare per combattere, nel resto dei secoli da vivere attraverso la storia. Eravamo rimasti pochi gruppi di combattenti, circa nove reparti, il mio era ridotto a sei-otto individui, ero un capitano e avevo ora la responsabilità, essendo morto il nostro arcoonte (voi lo chiamereste colonnello). Mi elessero Duca, ma che devo dire? A furor popolare di un popolo senza più furore…
Arrancavamo nella taiga, sommersi dalla neve mordente sino alle ginoscchia, quando comparve quasi dal nulla un essere alto due metri e mezzo, dalla corazza dorata e la divisa bianca. Il gruppo si compattò, sguainammo le uniche armi possibili rimaste: le nostre spade. Era uno della parte nemica, e dall’aspetto di quell’ufficiale, mi parve essere la parte vincente.
- Siete la SACRA? - eruppe con una voce profonda, altisonante.
Voltai lo sguardo verso i miei guerrieri sopravissuti e replicai:
- La sacra comprendeva un organico belligerante di trecentomila combattenti, ventimila apparecchi cingolati, diecimila puntatori laser, centomila vettori siluranti terra-aria e terra-terra, mille batterie a pressione aerea e un milione di frequenze d’abbattimento…. Secondo lei questa che vede è la SACRA? -
L’ufficiale si sganciò l’elmetto aureo e argentato, scosse il capo, muovendo dei folti capelli bianco d’oro: - per quel che vedo, questo manipolo di valorosi è ancora la SACRA. - .
Ci guardammo perplessi fra noi.
- Posso sapere con chi ho l’onore di parlare? - chiesi.
- Certamente, capitano. Io sono Gheshan Thun, della famiglia dei Thun-Baill, vengo da un avamposto della mia specie non molto distante da qui.
E mi chiedevo come fosse andata a finire la guerra. -
- Parlate della guerra come di una partita a palla…-
-Per come la vediamo noi non c’è molta differenza. Ma nonostante abbiamo provato orrore nel vedere come un esercito di valorosi è stato distrutto, non siamo potuti intervenire. -
- Intervenire? Chi siete dunque? Uno dei signori della luce? -
Il modo di parlare di quell’individuo, l’abbigliamento ora divenuto un immacolato unico manto bianco, forse per un effetto dovuto alla temperatura in discesa, lo sguardo abissale per profondità, ma sostanzialmente senza espressione, mi ricordava molto la figura di uno degli ‘ambasciatori’ che durante quegli assurdi anni di guerra, avevano effettuato diversi quanto inutili tentativi di rappacificare le parti.
- Vi hanno terminato le donne. - fece, senza troppe manfrine.
- lo sappiamo, signore.
- che farete ora? - continuò
- Non so…cercheremo un nuovo modo di esistere.
Feci senza neppure crederci molto.
- Esistere? Pensate di avere del tempo ancora a vostra disposizione?
- dovremmo morire dunque, secondo voi? - replicai infastidito.
-Morire? Oh, no, no… per carità non fraintendetemi. Perdervi sarebbe per noi una grande sconfitta.
- in che senso state parlando, signore?
- Nel senso che ho il compito di rintracciare i sopravvissuti della SACRA e condurli in salvo. Ora ho trovato il suo gruppo, capitano. E vorrei che la vostra nuova esistenza cominciasse con noi. Sapete chi sono, e di cosa è capace la mia razza, vero?
- So chi siete e da dove venite, signore. Non posso fare altro che ringraziarvi per il vostro intervento…
- State morendo Capitano Khann Iurchi, quanto tempo pensa di poter mantenere in vita il suo gruppo di eroi? La temperatura scenderà ancora e poi ancora…stiamo entrando nel buio della notte invernale. Vi saranno almeno due anni di oscurità, e che pensate di fare?
- Abbiamo combattuto con la notte invernale… - feci, ma era come se quell’essere sapesse dove volevamo arrivare.
- Il suo orgoglio le fa onore, e i suoi soldati meritano ogni rispetto. - continuò - ma se non accetta la mia proposta sarete condannati a una morte senza nome. Soli, in mezzo alla neve, uno ad uno. Chi più ricorderà la vostra gloriosa vita, il vostro ardimento, la vostra epica battaglia?
- abbiamo perso, signore. E non è stata epica, è stato un macello. Abbiamo perso definitivamente…
- Comprendo il suo disincanto e il suo dolore, Capitano del Clan Irchunn shan, so bene che siete gente d’onore e d’arme.
- Voi sapete tante cose su di noi, signore.
- Già. Da secoli seguiamo la vostra razza, e so che combattete per difendere l’esistenza della specie contro forze coalizzate contro di voi.
- ci sono due mondi che vorrebbero la nostra estinzione e forse oggi ci sono riusciti. - replicai.
- Venga con il suo manipolo assieme a me, mi segua alla mia base. - fece, come se stesse gettando sul tavolo da gioco un’offerta irrinunciabile.
Guardai i miei soldati. Erano corpi avvolti in cenci grigi, che forse già si erano preparati a morire. Il ghiaccio mordeva feroce le loro mani, le unghie erano cadute dai loro artigli, la carne delle braccia e del volto era quasi esposta ormai all’aria. La pelle si era bruciata. Le ferite di alcuni puzzavano di marcio. La fame ci faceva nutrire ormai dei nostri morti: una fonte inesorabile di cibo, visto che costellavano la taiga sino all’orizzonte percepibile. Non avevamo più alcun motivo per tornare. Il nostro mondo era crollato sotto l’urto devastante di civiltà dalle tecnologie belliche superiori. Il nostro sistema di vita come lo conoscevamo era terminato.
- E i vincitori? Che fanno? - chiesi
- Loro convengono che un nuovo ordine mondiale senza di voi sopravvissuti non potrebbe esistere.
- questa mi suona grossa! Ci reputano al pari di animali e ora vogliono governare assieme a noi?
- No, Capitano, non fraintendermi. Loro vi annienterebbero seduta stante. Ma siamo noi che abbiamo posto un freno alla loro smania, perché siamo noi che riteniamo impossibile governare e creare un nuovo sistema senza di voi.
- Ci avrebbero inseguito anche durante la nostra ‘ritirata’?
- Sì, Kann Iurchi, vi avrebbero braccati sin nel cuore della taiga, e avrebbero completato la loro missione: sterminarvi.
- Perché si sono fermati dunque?
- Perché le abbiamo convinti a posare le loro energie in un progetto infinitamente più utile. Ora la guerra l’hanno vinta, e non c’è motivo di sprecare altre vite. I loro generali sotto il nostro consiglio si sono impegnati a non incalzarvi, lasciandoci svolgere il nostro compito. Voi siete essenziali al nostro disegno. -
- Ma adesso chi comanda in questo mondo?
- Noi siamo i ‘direttori d’orchestra’. Ma in un’orchestra ogni strumento suona e compone la sua parte. Nessuno strumento è più importante di un altro, altrimenti la sinfonia stona e fallisce.
- E quale è la vostra sinfonia, signore?
- Tanto tempo fa ci fu chi ci ingannò, rubandoci quanto di più prezioso avevamo… e condannandoci tutti a dover lottare per sopravvivere, mentre lui si appropriò del più bel mondo possibile. Noi torneremo in quel mondo, sistemeremo le cose, e ciascuna razza avrà una vita migliore, senza più morte. Il responsabile di questo scempio dovrà ridarci quanto ci tolse, non in battaglia, ma col tradimento. Ecco perché il mondo ha bisogno di guerrieri e gente d’onore come i suoi soldati, Khann Iurchi. -.

Seguimmo l’essere della luce sin nella sua base.
Il posto era di una purezza eccezionale. Ricavato all’interno della montagna, era un rifugio in cui l’aria sembrava eterna e pulita, le luci erano calde e diffuse, e gli abitanti sembravano appartenere a specie diverse, alcuni che non ebbi mai modo di conoscere, altri che mi sembravano familiari.
- Bentornato Gheshan. -
Fece un ufficiale del luogo, avvolto da un pesante mantello bianco come la luce.
- Grazie Muasart. - replicò
- Vedo che hai portato a termine la missione, me ne compiaccio. - fece, guardandomi , poi si rivolse a me: - Sono contento che il clan di Iurchunn sia ancora vivo! -.
Feci un gesto con la mano per porgere la mia gratitudine, ma l’ufficiale mi guardò con un ciglio strano. Rimase immobile. Poi sussurrò, con tono molto pacato: - Dobbiamo avere cura di essere sempre consapevoli del nostro modo di muoverci, Khann Iurchi… Credo che Gheshan saprà istruirla molto bene su questo… Lei creerà una nuova generazione di rettili, capaci di tenere in mano un potere vastissimo, saranno i pilastri di un nuovo ordine mondiale. Ma prima bisogna imparare a gestire il proprio corpo per poter comandare su altri corpi. - .
Detto questo l’ufficiale guardò Gheshan, il quale rimase assolutamente impassibile, e si congedò.

lunedì 22 giugno 2009

Qunreboll'na

Questa pagina è l'unica rimasta intatta e leggibile, così da poterla chiaramente tradurre nella nostra lingua. La tecnica narrativa dell'autore anonimo pare ispirari a una sceneggiatura. Si tratta di un documento di natura aliena, la cui attemdibilità pare attestata da alcuni studiosi dell'UCLA. Quanto segue è la quinta e sesta parte di unba specie di 'diario', il misterioso Qumreboll l'unica interamente tradota, attraverso raffronti e comparazioni filolgiche e semantiche con i testi originali

V) NELLA CORTE REALE

Adènha è disorientata e impaurita. Ci sono solo adulti in quel luogo. Soldati che stanno di sentinella, e alti ufficiali che si alternano entrando e uscendo da un edificio enorme e maestoso: il Consiglio del Regno.

H.: Seguimi Adènha.

I due entrano in un altro edificio, dalle pareti di marmo, lisce, nel quale imponenti statue vegliano nell’atrio.
Adènha le osserva: è sempre più spaesata.

H.: Sono gli Eroi del Casato di Araman, I Primi Re.

Oltrepassano l’enorme atrio.
Un soldato sembra arrabbiato. La causa della sua ira è un piccolo guerriero, probabilmente, visto il tipico saio che indossa, è un allievo della Scuola di Combattimento. Lo picchia furiosamente

S.: Dannazione Cinque Uno! Possibile che non passi ora che non mi combini qualche pasticcio?
Adènha si volge verso Hukko

H.: Ci sono soldati del Primo Livello che stanno qui per imparare la vita di Corte: un giorno saranno le sentinelle del Re. Per loro l’educazione è tutto.

Adènha sorride pensando di non essere l’unica bambina della Corte

H.: Ovviamente tu non devi neppure sognarti di avvicinarti a uno di questi!
D.: No? E perché? Non sono militari di Araman anche loro?
H.: Sono solo soldati. Tu non puoi abbassarti a parlarci. Ora TU sei un intoccabile qui dentro. Se solo uno di questi allievi ti sfiorerà, verrà punito severamente. Non possono neppure guardarti.

I due oltrepassano il piccolo soldato sanguinante per le botte ricevute dal suo istruttore. Il piccolo 51 volge immediatamente lo sguardo a terra, mentre i due gli passano accanto.

Raggiungono una sala con delle sedie e dei drappi pesanti attacchi alle pareti: sono le bandiere della Guerra di Sirio.

H.: Siediti pure, Adènha. Abbiamo ancora qualche momento di pace, prima del test.
D.: Ho paura di non riuscire, Signor Generale…questo luogo, queste persone, mi fanno paura…
H.: Non può farti paura il POTERE. E’ il tuo destino, piccola Adènha.
D.: Lei né molto sicuro…
H.: Anche tu lo sei.
D.: Non capisco.
H.: Presto capirai invece.

Nella sala entra un altro alto ufficiale.

H.: Sondrall, che piacere…
S.: Piacere mio, caro Hukko. Andato bene il viaggio?
H.: Benissimo, grazie, Primo Aiutante Reale.

Adènha è stupita.

S.: Già, veniamo a noi. Lei è la bimba?
H.: E’ lei, il mio piccolo ‘prodigio’…
S.: Sì, vedremo. Sai che LUI ha chiesto ‘merce’ fresca, vero?
H.: Era ora, Sondrall. Quei tromboni che lo circondano non fanno altro che rallentargli i suoi piani!
S.: Bene, però lei mi sembra un po’ troppo ‘fresca’…
H.: Non fermarti alle apparenze. Hai letto dei suoi lavori, no?
S.: Sì, è tutto nella sua scheda personale. Sua Maestà Imperiale conosce ogni dettaglio. Diamo inizio alle danze, allora!

Sul tavolo davanti a Adènha vi sono delle cartelle.
S.: Carissima amica, queste come puoi ben vedere sono schedature di umani. Umani che stiamo cercando di analizzare
Attraverso i loro comportamenti. Ascolta tutti gli archivi e leggi quanto è a tua disposizione, e poi traccia dei profili mentali. Va bene?

Adènha è molto incuriosita.
D.: Sì, mio Signore, è quello che faccio anche a scuola…
S.: Già, ma ora attenta, questi sono problemi più ardui da capire. Hai una ventina di minuti di tempo per gettare un primo rapporto. Buon lavoro… Hukko, usciamo, lasciamo che Adènha lavori.

I due ufficiali escono.

Si vede Adènha che pensa da sola, lavora, scrive appunti, fantastica e immagina gli umani di quelle schede. Lavora febbrilmente con un’intuizione velocissima. I due ufficiali la osservano:

S.: Devo essere sincero, mio caro Hukko… non ho mai visto lavorare così velocemente… Non sembra neppure naturale… E’ tanto giovane…
H.: L’ho detto Sondrall: è il mio piccolo prodigio…

Passa il tempo deciso e i due rientrano nella sala di Adènha.

H.: Abbiamo finito, Adènha, tutto a posto?
D.: Sì, Signor Generale. Ecco la mia relazione su questi tre umani.
S.: L’hai…L’hai analizzati tutti e tre? In venti minuti scarsi?…[ è palesemente stupito]
D.: Signor Primo Aiutante Reale, a questi tre umani era già stato somministrato il test di Randak, non è stato quindi difficile ricostruire certi movimenti di sinapsi. Il grosso del lavoro quindi si è concentrato sulle loro parole, sul racconto biografico…
S.: Infatti hai tracciato un profilo perfetto della biografia di ognuno. Non ci sono errori, se non il solito margine sul profilo mentale, ma il tempo era troppo stretto… Un adulto non riesce a fare di meglio. Io… io non so che dire. A questo punto l’ultima parola spetta al tuo nuovo… Insegnante.

Sondrall esce dalla sala.
Hukko e Adènha si dirigono verso l’alloggio temporaneo della giovane promessa.
Mentre camminano un piccolo soldato inciampa e non volendo guarda Adènha negli occhi.

H.: Questo non puoi permetterlo, Adènha, prendi provvedimenti immediati.

Lei rimane disorientata. Intanto giunge l’Istruttore. Sbraita al piccolo, quindi porge la frusta a Adènha.
H.: Devi assolutamente intervenire, disciplina questo scellerato.
D.: Ma…ma io…io…non l’ho mai fatto…
H.: Prendi la frusta e colpiscilo, finché non ti chiede scusa per l’oltraggio.
D. Signore…ho paura…gli faccio male…
H.: NO! Non puoi permettere che qualcuno oltraggi la tua persona! Ne va dell’Onore di ufficiale. Colpisci!

Adènha sopraffatta dalla violenza del tono di voce Hukko schiocca la frusta. Il piccolo chiede pietà. Ma qualcosa in lei cambia, la sua espressione si fa fredda, e lo colpisce ancora. Poi un'altra volta. Sino a rimanere completamente inespressiva di fronte al dolore del piccolo soldato.

H.: Ora lui ti rispetterà per sempre. E temerà la mano del tuo potere. Andiamo…

VI)...[continua]

THETH

PUNTATA 1 LA NOTTE DEI RETTILI

Il piccolo Theth ancora non sapeva leggere. Se solo avesse potuto leggere i giornali in quel periodo si sarebbe di certo rifiutato di crescere. Non è una bella cosa la guerra per un bimbo di appena un anno. Lo è ancor meno se sua madre è morta e suo padre si trova lontano, su qualche pista innevata, a procacciare il cibo. Il papà, un bel rettile alieno di circa trent’anni, appena una cinquantina se calcolati nel tempo del mondo umano, aveva già avuto almeno una dozzina di figli, ma Theth era l’unico concepito e nato sulla terra. Poi con la vecchiaia si sa si diviene più accondiscendenti verso i piccoli, sicché Korah, aveva una specie di legame simbiotico con suo figlio. Korah e Theth appartenevano alla famiglia Aramàn, ma questo era l’ultimo dei pensieri per il padre, terrorizzato ora solo dalla mancanza di prede in grado di sfamare sia lui che suo figlio. Theth poteva accontentarsi anche di piccoli topi, ma l’inverno così rigido delle Montagne Rocciose aveva indotto quei piccoli mammiferi al letargo e scovarli era divenuto molto difficile. Korah invece aveva fame. Tanta fame. Erano mesi che il suo stomaco si contorceva in digiuni troppo prolungati.
Il passo di Sterner era stranamente praticabile, così Korah decise di perlustrare le zone al confine con le linee dell’esercito regolare Terrestre. Zone pericolose un tempo, ma ora la guarnigione di Korah era stata annientata, sua moglie fu uccisa in quella battaglia, mentre lui riuscì a sopravvivere perché in quel momento era al comando del manipolo in retrovia. Non se ne fece mai una ragione. Ma fu lei, Jhilkell a decidere: mai tutti e due nello stesso posto, così almeno non ci ammazzeranno assieme, e Theth potrà sopravvivere. Ma ora lui e Theth erano rimasti soli, anche il suo manipolo fu devastato, alcuni morirono per una strana affezione virale, altri caddero avvelenati dalla Polvere Rossa, altri ancora non si adattarono mai ai continui mutamenti del clima autunnale. Theth nel frattempo, rimasto nella grotta accanto al fuoco e semi sepolto dalla pesante coperta termica, giocherellava con dei pupazzetti che il padre aveva intagliato assieme a Jhilkell. Il bimbo aveva ottima salute, e nonostante il clima impietoso per la sua specie, resisteva bene, e cresceva robusto. Korah ne era orgoglioso, per i Rettili la prole è veramente tutto.
Fu quella notte che Korah giunse al limitare del territorio sino ad allora battuto per la caccia. Oltre vi era una piccola costruzione umana, tipica, con il tetto spiovente, tende alle finestre, e un fienile sul retro. Il Rettile non vi si era mai spinto sino ad ora: la reazione dei Mammiferi che vi abitavano sarebbe stata fatale, e lui non poteva permettersi di morire. Si accucciò, osservando un’ombra che si apprestava a uscire dal fienile. La sagoma imponente era quella di un Uomo maschio, forse sulla cinquantina, con una chioma sciolta che gli lambiva le spalle. Forse chissà un tempo quell’Uomo era stato un combattente nelle schiere che sconfissero i Alieni, un anno fa. Poi dietro all’Uomo altre ombre fecero la loro comparsa, ma stavolta si trattava di piccoli esseri bipedi, starnazzanti, che seguivano i piedi del Maschio per beccare insetti e vermi smossi nella paglia del magazzino. Korah rizzò l’attenzione su quei piccoli esseri: polli! L’Uomo con un bercio cavernoso ricacciò i pennuti nel fienile, chiudendo la massiccia porta di legno. Con i loro pulcini Theth sarebbe andato avanti tutto l’inverno e a Korah sarebbero bastati due o tre di quegli uccelli adulti. No, troppo pericoloso. Sicuramente i mammiferi non avrebbero gradito l’intrusione di un Alieno nella loro fattoria! E chi avrebbe allora aiutato il piccolo Theth qualora una pallottola avesse trapassato il cranio di suo padre? Ma… è tutto lì. L’approvvigionamento di carne assicurato per l’inverno, e il riposo dalle fatiche di troppe battute di caccia… tutto stipato in un magazzino!
Korah si rilassò per qualche minuto sulla neve immacolata. Pensò, valutando il prezzo di una simile avventatezza. I morsi allo stomaco erano lancinanti, e la sua debolezza progressivamente gli impediva di braccare animali grandi abbastanza per sfamare se stesso e suo figlio. Anche pescare nel fiume ghiacciato era diventato difficile: gli Uomini perlustravano spesso la superficie gelata, perché anch’essi vi avevano posizionato le trappole nei fori. E per Korah il trovarsi muso a muso con un cacciatore umano armato di carabina era un pensiero che lo terrificava. Forse il male minore era avventurarsi in quella fattoria e razziare il pollaio. Sicchè il Rettile attese che la notte fosse piena, e l’oscurità totale della montagna coprisse i suoi movimenti. Studiò la presenza di un grosso cane da slitta: era davvero un problema. Se si fosse messo ad abbaiare avrebbe svegliato tutto l’emisfero nord del pianeta… Ma ucciderlo avrebbe di certo scatenato la violenta reazione umana, e Theth non poteva di certo sostenere la fuga attraverso i passi sepolti dalla neve. Un Cane non è un pollo, Korah lo sa benissimo. E’ di quanto più intimo sia alla coscienza umana. Si può mangiare tutto e tutti, ma non i Cani! I Alieni hanno mangiato anche gli Uomini stessi, ma guai ad avvicinarsi ai loro Cani! No, Korah avrebbe dovuto liberarsi del Cane, ma senza ferirlo. Pensò così ad un diversivo per l’animale. E diede inizio al suo piano di caccia.
Si inoltrò lentamente nel territorio umano, quindi quasi strisciò sino al magazzino, dove vi era anche il grosso cane. Con un pezzo di carne lo attirò su di se, quindi con movimenti più rapidi di una scarica di lampi ( Korah è un Rettile…), chiuse la bocca dell’animale con una corda, evitando di ferirlo. Il Malamute si dibatté ma il Sauro era forte e potente, le sue braccia dure come l’acciaio lo stringevano in una morsa soffocante. Combatterono per una manciata di minuti, ma il Rettile ebbe la meglio, fortunatamente il cane era vecchio.
Ora l’accesso al pollaio nel magazzino era libero. Le galline terrorizzate cominciarono a sbattersi ovunque, perdendo penne e piume, Korah cercò di ucciderle nel modo più rapido possibile, vive avrebbero fatto troppo rumore. Poi trovò i pulcini, li prese vivi, depositandoli in un altro sacco. Il bottino era cospicuo, sei polli, e almeno una ventina di piccoli. Bene. Era giunto il momento di scappare. Sembrava filare tutto liscio: l’unico testimone era la Luna, e non avrebbe di certo urlato! Lasciando così a Korah il tempo per fuggire oltre il passo di Sterner.

***




PUNTATA 2: LUCI E TENEBRE

Sembrava appunto. Infatti la calma di quel gelo avvolgente era solo una coreografia suggestiva della natura, due grossi uomini stavano lavorando all’esterno e insospettiti dagli strani rumori nel fienile decisero di dare un’occhiata. Il Rettile si acquattò quasi spiaccicandosi su una trave, raggiunta con un balzo rapidissimo e potente. Gli Umani una volta all’interno si guardarono attorno. Poi si accorsero del cane legato. Quindi mentre l’uno subito lo soccorse, l’altro allungò lo sguardo al pollaio, e urlò:
- Maledizione Walker!
L’amico sollevò la testa dal cane in direzione delle galline e si corrugò.
- Che cavolo… che cavolo è successo?
I due una volta accortosi che il cane stava bene, si recarono dentro il pollaio. I polli superstiti deambulavano atterriti dalla paura, rimasti in pochi, mentre nessun pulcino sbucava da sotto le ali delle chiocce.
- Donnola?
- Walker, da quando le donnole legano i cani da guardia?
- Hai ragione Frank. Allora che diamine è accaduto? Ci hanno rubato le galline, questo è certo…ma chi? Chi può essersi spinto sino quassù con tutta questa neve e di notte per giunta? E solo per rubare dei polli?
- Walker guarda Stan!
Fece uno dei due, indicando il comportamento del Malamute che aveva preso a ringhiare verso le travi sulle quali era nascosto Korah.
Intanto il Rettile con un macigno sul cuore chiese perdono al figlio, tutti e due sarebbero morti, ma il piccolo Theth forse avrebbe patito una tormentosa agonia, questo gli tolse quasi il respiro, oscurandogli la vista su quanto stava accadendo intorno a lui.
Gli uomini illuminarono il fienile, ma non si accorsero subito di Korah. Cercarono di capire che cosa avesse segnalato Stan, e perlustrarono ovunque, prima di alzare gli sguardi verso la volta del soffitto.
Ma la grande lucertola decise di prendere l’iniziativa e scese dal suo nascondiglio, prima che i due lo trovassero.
Gli Uomini si sentirono chiamare alle spalle, il Malamute ringhiò ferocemente ma ebbe timore nell’avanzare verso l’intruso.
- Signori non sparate!… Sono stato io a causare tutti questi danni. Ma non sono armato!
I due Uomini si voltarono di scatto.
- Accidenti un Rettile!
Inveì uno. Invece l’altro, quello già osservato dalla collina, con i capelli lunghi sino alle spalle, rimase calmo. Osservò il Alieno, quindi parlò:
- Fame? Per questo hai ucciso tutti questi animali? Per fame?
- Avevo fame, sì… non so come posso riparare per questo danno.
- Ma non eravate tutti morti da queste parti? Sono mesi che non vedo più una Lucertola in giro!
- Diavolo d’un serpente! – sbottò l’altro Uomo – e non potevi prenderti una sola gallina? Che bisogno c’era di questa strage?
Korah mantenne lo sguardo sull’Uomo, cercando di conservare un minimo di dignità, e chiese loro:
- Io, signori…, vi prego fatemi andare via, o pagherò davvero troppo per un po’ di polli!
- Andare via? Ma sei pazzo? Hai appena assalito Stan, ucciso degli animali, violato una proprietà, cosa vorresti ora, pure un caffè? Accomodati allora!
- Sta calmo Walker! – frenò l’Uomo dai capelli lunghi.
Korah rimase in silenzio.
- Perché devi andare via? E perché dici che ti faremmo pagare troppo? - fece Frank.
Il Rettile non rispose. Disse solo: - Vi prego, signori, chiedo il vostro perdono. Ma non mi fermate, o un innocente pagherà una condanna iniqua.
- Chi sarebbe quest’innocente? Parla perché non voglio farti del male. Ma tu non devi porci ricatti né giochi di parole…
- Io…io non sono solo.
- Maledizione lo sapevo! Ma è così difficile liberarsi di questi dannati rospi?
Eruppe l’altro uomo, Walker.
- Bene. Dicci chi c’è con te, allora.
Korah abbassò lo sguardo, non seppe lì per lì cosa rispondere, poi però sentì scorrere il tempo e la temperatura ormai era troppo bassa, suo figlio aveva bisogno di scaldarsi dormendo sotto il corpo del padre.
- No. Non ci sono altri come me in giro, solo mio figlio. Ha poco meno di un anno. E ora si starà congelando, se non vado da lui morirà di certo.
- No.
Korah ebbe una fitta. A sentire quel diniego quasi morì.
- No, non potrete sopravvivere a quest’inverno. – continuò l’uomo, Frank – E’ troppo dura. Ho sentito le previsioni e pare che questi mesi siano dannatamente i più freddi del secolo. Se dici la verità allora ti aiuteremo. Walker sta zitto!
- Non ho fiatato…
- Appunto evita di farlo ora. Dicevo… se ci hai detto la verità dovremmo aiutarvi. Io mi chiamo Frank Abbot e sono un biologo, la mia specializzazione sono i rettili. Il mio amico invece è Peter Walker, altro biologo. Sei in un centro universitario di Agraria e Allevamento. Qui vive una comunità di ricercatori e agricoltori. Ora però portaci da tuo figlio, non può sopportare questo freddo.
Korah, seppur con un masso che gli comprimeva il respiro, decise che farsi aiutare sarebbe stata la salvezza per lui e il piccolo Theth.
Partirono subito, gli uomini si attrezzarono con zaini e una borsa medica, un localizzatore GPS, e delle coperte per il piccolo Rettile. La notte era di un’oscurità straordinaria, senza luna, nera come un abisso misterioso aperto sul cielo. I tre avanzano, gli uomini faticavano nelle tenebre e nella neve, mentre Korah era più lesto, e si muoveva agilmente al buio. Però gli Uomini erano meno turbati dal violento mutare di tempo che scuoteva le montagne, mentre per il Rettile la fatica di adeguarsi continuamente a condizioni climatiche diverse era davvero soffocante. Dopo quasi due ore di cammino i tre raggiunsero la grotta dove Theth e suo padre avevano trovato riparo. All’interno, fra le rocce non era freddo, l’umidità ristagnava e creava una condensa piuttosto tiepida, un tepore non proprio tropicale, ma almeno non si congelava. Sotto una coperta termica pesante e refrattaria agli sbalzi della temperatura si muoveva qualcosa. Korah nel vedere quella coperta smuoversi quasi si commosse. Il piccolo Theth era davvero robusto e il freddo non lo aveva ancora indebolito. Frank Abbot sorrise: - E’ questo il tuo bambino?- Kora annuì. – Mio Dio è più piccolo di quello che pensassi! – continuò, mentre Theth si lanciò letteralmente su suo padre, avvinghiandosi al suo polpaccio. Kora lo sollevò, le piccole mani ancora palmate si aggrapparono alle spalle del grande Rettile, quasi a non volerlo più mollare per il resto della vita. Frank fece per tastargli la pelle e sentire se ancora era tirata e in salute, ma Kora, istintivamente lo minacciò con un soffio inumano, cavernoso, tetro. Poi si accorse della reazione del tutto fuori luogo, e permise all’Uomo di toccare il figlio. Theth sentendosi sul capo quella strana mano, morbida, calda e diversa cercò di seguirla con gli occhi, quindi di assaggiarla con la lingua forcuta. Frank lo lasciò fare. Theth non si dimostrò ostile nei confronti dei due umani. Frank si guardò attorno, in quella caverna non c’era altro che la coperta e i pupazzetti di legno. Il resto era roccia e oscurità. Si potevano percepire le voci dei due Rettili mentre se ne erano rimasti soli nelle lunghe giornate di tempesta, al buio, un dialogo di sguardi nelle tenebre, giochi, e sbuffi di sauri infantili: un’intimità insondabile, nascosta nelle viscere di un’era perduta sulla Terra, e celata da distanze inimmaginabili. Theth era nato da poco meno di dodici mesi, camminava eretto per pochi metri e poi cadeva con tonfi sonori. Pronunciava qualche parola, e con il padre deve aver passato giorni a ripetere poesie, canzoni, perché nonostante la solitudine, aveva un vocabolario piuttosto vario. Quei due sauri sembravano un essere unico, una sola anima, una simbiosi perfetta di volontà.

***



PUNTATA 3: FINE DEL VIAGGIO

Quando discesero la montagna verso la fattoria, Kora sembrava tremendamente affaticato. Aveva il respiro corto, e le gambe gli sembravano cementate al suolo. Frank si fece avanti offrendosi per portare il piccolo Theth, ma Kora lo fermò. – Ce la faccio, Uomo. Devo solo fermarmi almeno un po’… - disse, sospirando. I quattro si fermarono un istante, Kora pose il figlio a terra, il bimbo voleva correre, ma era notte fonda e il terreno congelato. Il rischio di un’ipotermia era troppo grande. Kora placò lo spirito smanioso del figlio, a dodici mesi i Rettili Siriani sono pieni di energia, e corrono per qualche metro, eretti, si arrampicano dappertutto, combinano guai e sono di una curiosità infinita. Dopo qualche minuto il Rettile sollevò Theth e lo ripose nello zaino che adoperava per trasportarlo, e i quattro ripresero a camminare. Kora mostrava i segni di un periodo trascorso fra la continua ricerca di prede attraverso i passi gelati della montagna, pochissime ore di sonno, e la preoccupazione che suo figlio morisse congelato o di fame… Le mani erano dure come il marmo, ma bruciate dal ghiaccio, segnate dai morsi delle prede, così come sul volto righe di bruciature solari e le cicatrici dovute al freddo, lo rendevano ancora più alieno e selvatico. Le squame a placche sul volto erano coriacee e di un verde scuro screziato di nero, segno della maturità e dell’esperienza del Rettile, e rendevano il suo aspetto antico e terribile. A differenza del viso di Theth, di un verde smeraldo lucente e omogeneo, ancora morbido e liscio al tatto.
Finlamente raggiunsero la fattoria. Frank e Walker aprirono la porta della casa, all’interno dormivano tutti. Chissà che reazione avrebbe avuto quella comunità umana alla vista di quel grosso Rettile maschio…
Ma in quel momento la prima cosa che venne in mente a Kora fu quella di porre il figlio a terra per controllarlo. La marcia notturna avrebbe potuto gravare sulla sua salute. Invece Theth era davvero un bimbo forte e sano, e non mostrava che i normali sintomi di un gran sonno, del tutto legittimo. Frank riuscì a vincere la riottosità di Kora e visitò il piccolo rettile.
Walker ora non provava più disprezzo per Kora, ma era attento a quella che stava facendo il suo collega:
- Tutto a posto il piccoletto? – chiese preoccupato.
- Il cucciolo sì… Ma mi preoccupa il maschio adulto…il padre. – rispose Frank.
- Perché?
- E’ esausto, ha passato mesi senza dormire, correndo appresso agli animali, sotto la neve e la pioggia, completamente solo. L’enorme preoccupazione che suo figlio si ammalasse o morisse… ora credo che il suo organismo sia gravemente compromesso. Respira male e le placche epidermiche facciali sono quasi bruciate per il gelo: forse si è preso qualche batterio. E’ stato esposto troppo tempo alla temperatura minima critica…
- La minima critica? Accidenti Frank, allora è fortunato se cammina ancora!
- Già… coi Rettili non si scherza sulla temperatura corporea. E se per questi sauri scende sotto i dieci gradi sono spacciati! E Kora credo che abbia avuto picchi critici nella minima anche di quindici gradi…
Frank fece cenno a Kora di avvicinarsi. Il Rettile obbedì docilmente. L’uomo gli parlò:
- Hai avuto molto freddo ultimamente vero? Dovresti misurarti la temperatura.
- Ma no…no. Sto bene. – fece, quasi infastidito da quella premura – Mio figlio, piuttosto. Dovrebbe bere, e fare un bagno…
- Non stai bene Kora… Ti prego accetta il mio aiuto. Non è un disonore che un umano aiuti un siriano. Oggi siamo tutti sulla stessa barca.
- Disonore? Ma che dici Frank Abbot… - replicò con voce rauca – L’ultimo brandello di Onore che avessi ancora addosso l’ho buttato via rubando nella tua Casa. Ora non è certo per Onore che mi trovo con mio figlio nelle mani di Uomini…
- Tu, andando contro te stesso, hai salvato la vita a tuo figlio…per me non c’è Onore più grande.
continuò l’Uomo. – Ti prego, dammi retta, misurati la febbre… Theth ha bisogno di suo padre.
- …Dammi il termometro, Uomo. – sospirò faticosamente Kora, con tono dismesso.
Frank passò al Rettile un termometro specifico per l’organismo siriano. Aveva due scale, una chiamata Minima, l’altra Massima. La prima partiva da dieci gradi Celsius e arrivava sino a venticinque. La seconda partiva da trenta e giungeva sino a quarantacinque gradi Celsius. I cinque Gradi di scarto fra l’una e l’altra venivano calcolati solo se la temperatura Minima e Massima coincidevano negli apici. Era un congegno elettronico e percepiva il calore dalla bocca del Rettile. Pochi secondi con la punta del termometro sulla lingua e si poterono leggere le condizioni dell’organismo di Kora:
- Accidenti, amico! – esclamò Frank. – tredici e trentadue! Andiamo male… devi assolutamente riposare!
Kora obbedì all’Uomo. Con il figlio vennero sistemati in una stanzetta piccola, ma non squallida, anche se dava l’idea di essere in prigione. In effetti furono chiusi a chiave dentro, per sicurezza, dissero gli Umani, e Kora non polemizzò. Sistemò il letto di Theth che forse, per la prima volta nella sua vita, provò un materasso, un luogo asciutto e caldo… e chiuso. Il piccolo rettile alzò la testa e bisbigliò, con una voce lamentosa:- Non possiamo cercare le stelle oggi? – Kora lo guardò con tenerezza, poi si corrugò serio, come era il suo solito atteggiamento di capo… e gli rispose: - Ma come facciamo, il cielo è fuori, e noi ora dobbiamo stare qui… fa troppo freddo ti potresti ammalare. –
- Ma lo facciamo sempre …
- No, Theth, non lo possiamo fare oggi, e poi il cielo è nuvoloso non si vedrebbe nulla!
Kora era stremato, le sue ultime forze le stava finendo in quella piccola discussione con Theth. Ma finalmente anche Theth cedette al sonno. Il padre lo pose delicatamente nel letto, coprendolo e cercando di non fargli scivolare le coperte di dosso, fissandole a ogni angolo del materasso. Theth stava bene, in forma, anche se stanco. Ma lui si sentiva addosso un torpore grigio e un oscuro malessere. Le ossa sembravano essergli diventate di cartone, come se si dovessero spezzare a ogni minimo sforzo, e un’orrida sensazione di acqua negli occhi gli annebbiava la vista. Riuscì a stento a lavarsi, e indossare biancheria pulita, quindi cadde quasi come un corpo morto sul letto e si addormentò. Theth intanto si era liberato dalle coperte e aveva raggiunto il letto del padre, non era abituato a dormire lontano da lui. Kora istintivamente lo accolse ma stava già dormendo. I Rettili non avevano mai dormito un giorno solo l’uno staccato dal corpo dell’altro, sicché il piccolo Theth trovò pace solo fra le braccia del padre.
La mattina seguente fu Frank a svegliare i due. Portò loro la colazione, dentro una scatola c’erano topi e criceti, in un’altra topi neonati per Theth. Kora aveva bisogno di mangiare. Erano mesi che non si nutriva a sufficienza, e la quantità di animali portata da Frank lo confortò. Frank era un biologo e un erpetologo esperto. Sapeva come si nutrivano questi rettili, e non provò ribrezzo quando Kora si cacciò in bocca un criceto vivo. Ma decise lo stesso di lasciarlo solo con il figlio. Il pasto di un rettile richiede una certa tranquillità.
Kora mangiò. In seguito Frank lasciò che i due passeggiassero un po’ nel viale, e notò la forza del piccolo Theth, che trotterellava attorno al padre, quando a quell’età i bambini umani a malapena gattonano. Non solo. Theth parlava, non benissimo, mangiava ancora parecchi verbi, ma le sue frasi erano chiare e comprensibili. A un anno un Visitor possiede la maturità di un umano di tre o quattro anni. E Kora aveva cresciuto bene quel piccolo, nonostante le asprezze vissute. A un certo punto notò che il padre si sedette, quasi trascinandosi verso una panchina. Aveva un’aria sofferente, come se si fosse avventurato nella maratona di New York, e l’avesse corsa tutta. Ora non se la sentì di rimanere ancora in disparte e uscì sul viale. Raggiunse i rettili sulla panchina: - tutto a posto, Kora? – il rettile adulto lo fissò e lo ringraziò. Gli rispose: - No...no tutto a posto, solo…solo, AH! Per Shoon! Che dolore! – scattò contraendo la mano.
Frank notò lo spasmo incontrollato della mano, si chiuse a pugno in una morsa convulsa e feroce. La sfiorò, era gelida come una pietra tombale. Kora ansimava. Theth che era distratto dalle fontanelle della fattoria, si voltò verso il padre e corse verso di lui. – No, Frank, ti prego… non gli dire nulla…non voglio che veda questo…- Frank obbedì. Sapeva bene cosa stava accadendo a Kora, e ne provò orrore e tanta pena. Una volta passata la soglia critica della temperatura corporea, le funzioni neurologiche e circolatorie si compromettono gravemente. Una delle prime funzioni a danneggiarsi è fisiologica: l’organismo di Kora, esposto per un periodo a una temperatura corporea al di sotto dei dieci gradi, ora pareva privato della capacità di costruirsi la vitamina 45\12, che negli alieni è fondamentale per la produzione di neuro-mielina, una guaina che ricopre i nervi, tipica dei Rettili Siriani. Di conseguenza ora i suoi muscoli si contraevano in spasmi involontari. Spesso questa forma di degenerazione fisiologica porta il rettile alla morte. La vitamina 45 inoltre ha un ruolo nella percezione del dolore. Probabilmente adesso Kora avrebbe potuto sentirsi assalito da dolori inesistenti, senza causa esterna, perché la vitamina compromessa aveva invaso anche il cervello. Frank pensò che quel Rettile non avrebbe avuto scampo. Gli augurò in cuor suo che non soffrisse troppo. Ma fu un augurio utopistico. Kora sentiva fitte continue ai muscoli delle braccia e alle mani. Tanto che gli veniva difficile anche carezzare Theth.
Il giorno appresso Theth e Kora passeggiavano sul prato. Theth corse verso Frank, ormai lo conosceva, anche se ne era ancora un po’ diffidente, ma incoraggiato dal padre propose all’uomo uno straccetto legato ad una cordina e a sua volta legata ad una palla. Frank sorrise e cominciò ad agitare quella stoffa sul terreno, Theth si rizzò attento, quindi l’Uomo lanciò la palla e il piccolo rettile la inseguì.
- Lo sta istruendo alla caccia…- sospirò fra se. – Cerca di tirargli fuori il suo istinto predatorio. E devo essere sincero che questo piccoletto ne ha da vendere! – quindi si avvicinò a Kora, e questi: - Frank… posso dirti una cosa? –
- Sì certo…-
- Theth crescerà senza di me. -
- No, non dirlo…
- Lo dico invece. Non credo nei miracoli. Fra un paio di giorni non potrò neppure più camminare. Però promettimi una cosa. Promettimi di volere bene a Theth… di non pensare che sia il figlio di uno che ha comandato in un esercito in guerra contro il tuo mondo. Di non vedere me in lui, ti prego, promettimelo.
- Tu farnetichi, Kora! Tu sei lui e lui è te. Il tuo sangue scorre nel piccolo Theth. Ed è il sangue di chi ha creduto nella sua gente, e servito fedelmente il suo popolo. A me non importa che tu sia stato mio nemico sul campo. Theth non è mio nemico. Ma è tuo figlio, e deve ricordarsi di te e del tuo mondo. Io lo amerò te lo prometto. Lo proteggerò dal male delle vendette umane, non temere. Ma ora non parlare come se tutto fosse ineluttabile…
- Perché cosa credi che mi accada adesso?
- Adesso devi stare con Theth. Poi vedremo, d’accordo?
- Sì…vedremo, d’accordo.
Intanto Theth era tornato da Frank con la palla. il suo volto era di un verde vivo, smeraldo, dalle squame lucenti, e ancora morbide. Portando la palla, Frank notò le mani con le dita palmate, segno infantile. Infatti quelle strane mani da coccodrillo spariscono attorno ai sei anni, con la prima muta di pelle.
Kora guardò Theth con una dolcezza che era incredibile per quegli occhi rossi e gialli, dalle pupille verticali, freddi quanto immobili. Ma Frank si accorse che i due rettili si stavano parlando di sentimenti, Kora con il suo sguardo raccontava a Theth di un Amore sviscerato, senza confini, immenso come lo Spazio che egli attraversò anni addietro. Era la prima volta che l’Uomo si accorse che quegli esseri erano capaci di avere un’anima e di provare sensazioni simili alle sue. Spesso, combattendoli, aveva elaborato un’idea diversa, contraria. Ma questo ora non importava più Kora si rivolse a Frank:
- Uomo… - disse con un profondo sospiro – Combatto da quando avevo otto anni, a dodici ho preso a far figli, fra un po’ sarei dovuto andarmene in ritiro, e sono stanco… Sì, sono stanco. Questa guerra non ce la faccio a combatterla. Gli ultimi sforzi li ho compiuti per mio figlio, e ora non mi sono rimaste che pallide energie di vecchio comandante. Theth è l’ultimo della mia linea di sangue, e forse l’unico con un destino icerto, ma diverso… Forse non combatterà, se deciderete di tenerlo con voi, ma qualora abbiate per lui scelte diverse, per favore, portatelo prima dei sei anni in una Caserma aliena. Altrimenti tutto per lui sarà difficile…
Kora era visibilmente esausto. Forse davvero non gli rimanevano che poche ore. Il volto era opaco, come la pelle delle sue dure mani, ma gli occhi ancora riflettevano la sua luce interiore, la profondità abissale di pensieri inaccessibili a Frank e alla specie umana. Fra poco l’Uomo avrebbe dovuto trovare il modo di dire a Theth che suo padre non sarebbe più stato con lui fisicamente…ma che lo avrebbe accompagnato per sempre nella sua anima. Avrebbe dovuto spiegare a un piccolo alieno di un anno circa cosa fosse la Morte. Forse il Piccolo Theth non avrebbe capito, si sarebbe sentito abbandonato da suo padre. Forse, forse, forse… quante incertezze, quante teorie. E gli era assolutamente impossibile vedere Theth come un alieno in quel momento, dopo quello scambio di sguardi con il padre, così vivi, colmi di emozioni tanto segrete, come le emozioni che legano ogni bambino ai suoi genitori. Kora e Theth si sarebbero fusi ora in un unico spirito… e Frank avrebbe dovuto cercare di non far deludere il piccolo rettile sul conto di suo padre, che lo protesse nelle tempeste di neve, dall’oscurità, dalla fame, a costo della sua vita e di se stesso.

Cos'è STAIGHAI...?

Uno Staigh è un clan di esseri alieni che vive nell'illegalità delle tenebre, nel sottosuolo delle grandi città umane terrestri. Vive e muore secondo un oscuro sistema di leggi e riti noti solo a loro, ma pericolosi tanto da mettere in discussione l'Ordime Mondiale o Nuovo Ordine del Mondo degli umani. Poichè l'Ordine Mondialeè sorto sulle basi di uno scellerato patto umano - alieno, questi clandestini si trovano a vivere contro ogni codice, sia sulla terra quanto sul loro pianeta. Un tempo vennero sul mondo umano per combattere e conpuistare il pianeta, poi avvenne il patto e loro si ritrovarono come una 'zavorra' scomoda per i loro stessi capi. Cacciati dal loro mondo perchè reduci pericolosi, interrati dalla memoria umana come criminali di guerra, ora i generali alieni si sono strutturati dei loro regni sotterranei, chiamati gli Staigh, o Staighài nella lingua degli alieni guerrieri, pronti a combattere e a difendere sino all'ultimo soldato la loro nuova e misteriosa esistenza, contro un sistema nato non col combattimento, ma dall'inganno...

Ci sono più cose fra il Cielo e la Terra....

Mozart, Wolfgang Amadeus - Requiem in D minor K 626 - Sequentia. Dies
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I GIORNI DEL SAURO

...Il Diario di Anhyan, e la vita di un equipaggio alieno a bordo di un'Astronave mentre percorre il suo lungo viaggio, verrà pubblicato settimanalmente sul blog....
.....seguiteci nell'abisso delle infinità cosmiche....

...Orazio, di quanto ne sogni la tua filosofia

21. Pilgrims Chorus from Tannhauser (Wagner)
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Bach, Johann Sebastian - Agnus Dei
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LA TRIBU'

Secondo fonti sirianidi, l'organizzazione sociale nella protostoria dei Lacerta, vedeva una compagine simile a quanto si descrive nell'articolo che segue.

E’ la base dell’organizzazione sociale. Questo genere di struttura era preesistente all’avvento del potere di Araman, sia pure con modi, governi e persone molto differenti, la Tribù regolava sia la vita della casata di Shuoon, sia quella della casata di Araman.
Anticamente le Tribù seguivano una sorta di classificazione in base ai loro capi. Vi erano Tribù Sciamaniche, Tribù Guerriere, Tribù Venatorie, Tribù Agricole.
Queste ultime erano tipicamente associate a Shuoon, essendone il nucleo familiare primigenio. Non sussistevano difatti simili famiglie all’interno della Casa di Araman.

Le Tribù Agricole servivano la causa di sfamare il fabbisogno mondiale di cereali e vegetali, in mancanza della carne disponibile per tutti.
Successivamente con la presa del potere totale del Sovrano Intertribale, tali famiglie vennero relegate ai bassi ranghi della piramide politica e tanto che nelle Unioni Tribali i loro capi non hanno potere decisionale.

Il loro è quindi ad oggi un sistema tribale a Stato Passivo. I nobili non hanno cariche pubbliche né rivestono alcuna autorità religiosa. E i magazzini sono gestiti da elementi esterni alle famiglie.
Oggi il sistema della Tribù è rigidamente schematizzato, e non è suscettibile di ammodernamenti. Una Tribù è costituita da almeno venti Famiglie o Gente: I Potentati. Una Famiglia è a sua volta formata da un numero non determinabile di Clan. Se i Clan sono molto numerosi, almeno più di un centinaio, la Famiglia si chiama Gente.

LA NOBILTA' TRIBALE RETTILIANA

LA NOBILTA’ TRIBALE RETTILIANA secondo la classificazione dell'Era del Disarmo: le fonti sulla struttura sociale dei Lacerta note, provengono quasi esclusivamente dalla sezione archivistica Sirianide. Non è quindi certo come vensse intesa la vita sociale nei Lacerta prima dell'avvento Sirianide nel suo mondo.

Come si suddividono le gerarchie e i ruoli all’interno della società tribale rettiliana? Abbiamo potuto osservare la compagine generale della società di Lacerta L., ma adesso ci addentriamo nei ruoli veri e propri e nella nobiltà diretta ( sangue) e indiretta ( merito) delle cariche al vertice di una Tribù.

Prendiamo per ora le Tribù Reali.

A capo della Tribù Reale vi è un Patriarca \ Rettore, che possiede un titolo diretto ( di sangue) e quindi può essere un Patriarca di Granducato o di Priorato.
Le massime cariche di cui può essere investito un Patriarca sono infatti il titoli di GRANDUCA o di PRIORE.
Il Granduca proviene dalla casta guerriera, come il Duca, si dice infatti che siano nobili ‘Capi d’Arme’, ovvero la loro regalità discende direttamente dalla Casa Reale, nella guerra primigenia contro i Potechi.
Il Priore è al di sopra del Granduca come pregio di titolo, si avvale del titolo un po’ desueto, di Priorduca.
Il Ducato Reale è la terra occupata dalla Tribù di un Granduca o di un Priore. E’ il massimo appellativo per indicare il grado al vertice della gerarchia familiare delle Lacerta L., oltre il Ducato Reale, vi è la Casa Reale, ovvero il Regno.

Il Granduca può gestire un Granducato e un Priore un Priorato, si sale al Ducato reale, quando subentra un evento tale da far sì che il Re crei dal precedente lignaggio il grado ulteriore. Sono rarissimi i casi di creazione di Ducati Reali, attualmente abbiamo due soli Ducati Reali esistenti.

In una Tribù invece si hanno le cariche appena al di sotto del Granduca, in ordine di importanza elenchiamo le classi:

Duca
Conte
Proconsole
Libero \ Console.

Il Duca abbiamo detto è un Patriarca proveniente direttamente dalla casta guerriera. In pratica è un parente del Re, se osserviamo la sua genealogia, anche alla lontana troviamo origini comuni al sovrano.

Il Conte invece è un Patriarca della casta dei filosofi, non guerriera, probabilmente proveniente dalle Famiglie dei Filosofi Shuoniani dei deserti, il quale per merito si è conquistato la fiducia del Re. Un Conte e il suo Contado quindi spesso sono abitati da rettili non Amriani, non discendenti quindi direttamente dalla Casa Reale. I quali, però, hanno giurato lealtà al Sire. Duchi e Conti non sempre hanno stanno in un rapporto di rispettiva superiorità e inferiorità.
Ci sono casi in cui un Patriarca Conte sostenendo economicamente gli sforzi militari del Re, alla vittoria del Sovrano, riceva da questi il premio di essere Conte-Primo, ovvero è concesso, sia pure non per sangue, al Patriarca di porsi su piano superiore di Regalità ( ma non di Genealogia). Se il tempo passa, e all’interno della sua Tribù si intrecciano matrimoni mirati, il Contado può prendere la Regalità Ducale ( sempre per via materna) e passare al grado di Ducato. Il Conte diviene Duca anzi Arciduca, perché si suppone che provenga dal titolo di Conte-Primo.

E’ normale che un Arciduca sia sovente un Guerriero ‘acquisito’ alla casta, perché proviene dalla cessione di regalità del matrimonio.

Il Proconsole è un Patriarca proveniente dalla casta Guerriera come da quella Filosofica. Per meriti o per sangue domina una Tribù.

Il Libero è una figura inconcepibile per gli esseri umani. Infatti egli era dapprima solo un Suddito, Servitore di sua Maestà come ufficiale militare che ha ottenuto grandi successi, e quindi si è ‘liberato’ della sua condizione ‘borghese’ o addirittura della sua inferiorità plebea, ed è entrato a tutti gli effetti nella Genealogia Reale ( dapprima, come tutti i siriani, era nella Genealogia Tribale). Però non può sperare di essere inserito nei Matrimoni Reali e quindi di contribuire al sangue della Casa Reale.
Un Console è un rampollo della casta guerriera. Spesso ha ottenuto invidiabili successi militari, ha studiato come Ufficiale e ha fatto una lampante carriera. La sua linea di sangue è già nella Genealogia Reale, sin da quando è nata, appartenendo di fatto alla casta dominante, ma ancora non può effettuare Matrimoni Reali.



Introduzione alla Cronache delle Missioni

Introduzione a
“Le Cronache”



I
ritmi della gente a bordo di un’Astronave immersa nella spazio remoto, seguono un tempo diverso dal resto delle anime che affollano l’Universo conosciuto.
L’Astronave con la sua maestosa imponenza è un mondo in se, chiuso all’esterno freddo e pericoloso del cosmo.
All’interno della sua Carlinga bianco argentata vivono e nascono e muoiono persone che per tutta la loro esistenza navigano zone e spazi senza confini.
Non è facile andare a indagare la coscienza di questi esseri, il loro carattere ci sfugge il più delle volte, e la loro insita violenza nell’affrontare l’unica natura a loro conosciuta, quella siderale, ci fa riflettere sulla possibilità di essere loro amici.
I ritmi che scandiscono la vita di esseri all’interno di un’Astronave sono custoditi nei loro stessi racconti.
Sono i Racconti, chiamati Le Cronache, l’essenza di questo strano popolo di Rettili, viventi in una specie di corte chiusa, in un eterno inverno, chiusi dalle imponenti lamiere, protetti dall’esterno oscuro e gelido.
E il tempo scorre in questi racconti. Spesso animati da una tecnologia olografica di una limpidezza incredibile, spesso vissuti da chi li narra e li ascolta come in un Gioco di Ruolo. Non sappiamo molto su come si trasmettono le Cronache, forse appunto, vivendole in una realtà alternativa, virtuale, oppure in un gioco della Memoria collettiva di questo popolo.
Non sappiamo molto, ma quanto conosciamo sono queste pagine che fra non molto leggerete. Vi prego, pensate a coloro che l’hanno scritte, i sacrifici di un’esistenza così fredda, remota, impenetrabile…


LA ROSA DEI VENTI [i mondi paralleli di Staighài]

LA ROSA DEI VENTI [i mondi paralleli di Staighài]
racconto online grautito a puntate: vedi qui l'evolversi dell'avventura

Iside....

Verdi, Giuseppe - Gloria all'Egitto
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Poema

DE BELLO HOC NOSTRO
Libro I

I Fantasmi di Aiarha

Nascosta nei libri della storia
La primavera avanzava
Il mondo guardava sull’orlo
Della fine il deserto
Che scompariva mentre
Molti salutavano all’ultimo giorno
Le stanche file disserrate che scomposte
Risalivano le montagne.

continua qui
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=7919522&a=2#last

Uomo Rettile


il mito dell’Uomo Rettile .
L’UOMO-RETTILE
NELL’ORRORE DEL MILLENNIO


Caro Amico Umano e Non,


‘Quando un viaggiatore, nel Massachuttes del centro nord, prende la strada sbagliata al bivio del Picco di Aylesbury, subito dopo Dean’sCorner, entra in un territorio solitatio e curioso’…

Siamo sulla Terra, e in il nostro narratore e un uomo dallo sguardo spento e dall’umore torbido come le acque di una palude, si chiama HP Lovercraft, e racconta questa storia nel 1928.
Ricordate la crescita straordinaria di Elisabeth in V-visitors?
Ci sono tracce di una simile evoluzione proprio in questo racconto: - ‘…La crescita di Wilbur era davvero fenomenale perché nel girodi tre mesi, aveva raggiunto una taglia che di solito non si trovavano nei bambini della sua età..’

Ora, l’Orrore di Dunwich narra di un paese scivolato fra i gorghi di un’oscura maledizione, i suoi onesti cittadini erano dediti ad un culto maledetto. E potenze sinistre, sconosciute, provenienti da un tempo e uno spazio celato nell’inferno, giorno dopo giorno si mescolarono agli abitanti, incrociandosi in oscene e deformi creature. Creature che vennero subito elevate a semidei.
Perché iniziare con un simile racconto?

Vi è uno dei miti più antichi dell’umanità: l’uomo – rettile. l’uomo – drago è un mito antico, che sorge alle origini della storia umana.
Non è un caso che HP Lovercraft prese come ispirazione il mondo mitico dei Sumeri, e non è un caso che prenderemo a osservare certi spunti nei suoi racconti. Nell’ ‘Orrore di Dunwich’ il mondo dei Sumeri viene ingoiato nell’abisso di un pantheon alieno, sepolto in qualche ventre cosmico, terrificante, ma assopito.

Lovercraft ci narra nel suo racconto, sempre a proposito degli abitanti di Dunwich: ‘Sono venuti a creare una razza a sé, con ben precise stigmate fisiche e mentali frutto della degenerazione, e dell’accoppiamento fra consanguinei. La loro intelligenza è sventuratamente bassa, mentre la loro storia trabocca di vizi praticati alla luce del sole di assassini e incesti nascosti a metà , e di imprese dalla violenza e perversità quasi immorale…’
Quando lo scrittore svela che le fattezze di questa specie sono quasi rettiliane, e nei suoi racconti questi 4 strani esseri ibridi fra salamandre, coccodrilli e umani, tornano ossessivamente, ci troviamo a vivere in un mondo dominato dalla Bibbia, e in un America che in parte coltiva un puritanesimo protestante in modo quasi morboso. Il Serpente è stato già confinato nel ruolo del Cattivo Messaggero, Legato a un mitema demoniaco che lo vedrà opposto per sempre alla luce divina. Eppure non è ancora morto quel mito, l’uomo – drago sopravvive nel mondo occidentale, sia pure in una luce opposta a quella dell’Eroe Civilizzatore Gilgamesh, venerato dai Sumeri.

I rettili sono cattivi. Ma il modo in cui HPL ha descritto l’intelligenza di quegli esseri mi aiuta ad accostare ancor più questi due topos dell’uomo –rettile. Non esalta certo l’intelletto delle creature che descrive. Ma in V non capita spesso di incontrare ‘geni’. Se fai caso, spesso i tecnici più umili di grado, i soldati semplici, e lo stesso Willy, sembrano quasi un po’ ‘appesantiti’, lenti. I loro ragionamenti sono lineari. La sentinella farà passare MD nel quartier generale in cambio di un topo, come se un soldato della Casa Bianca facesse passare Osama Bin Laden in cambio di un panino… In questa strana scarsità di acume c’è qualche indizio che mi piacerebbe tirar fuori.
E’vero, HPL è duro nel descrivere i suoi alieni. HPL nasconde e cela tutto. Ricordiamoci del suo pseudo-libro: Necronomicon, un inno alla teoria degli alieni assopiti sulla Terra, in attesa di riprendersela appena i tempi saranno maturi. Ma è tutto criptico, svelato racconto per racconto, sino al quadro completo, all’orrore che permea il mondo di Cthulu.

Osserviamo una notazione:
‘Wilbur non fu più visto da allora, senza un abito completo e perfettamente abbottonato…Quando veniva messo in disordine o si verificava una minaccia in tal senso, veniva preso dalla collera e dell’ansia…’

C’è ancora un passaggio che ci piacerebbe leggere assieme:
‘Le storie di Wathley si confusero per un decennio con la noramle vita di una comutà malsana, abituata alle eccentricità e assuefatta alle orge di Calendimaggio e di Ognissanti…’
HPL sembra aver intuito che il mito dell’uomo rettile sarebbe sopravvissuto ancora per ere nella memoria umana…



II

L’ALBERO DEL MONDO E IL SERPENTE DELLA VISIONE

Non c’è un’era narrata tanto remota come l’epoca della Creazione dell’uomo e della donna.
In quest’epoca, dovunque sulla terra, si affacciano gli dei.
Gilgamesh deve arginare l’impeto distruttore di Enkidu, il primo uomo, così Odino sta appeso impiccato a testa in basso per donare ai mortali le Rune…
Ma questa è soprattutto l’era dei semidei, degli uomini-drago.
I Maya narrano di un mito ancestrale, dell’Albero del Mondo il Wacah Chan, che dividendosi in due genera le fauci del Serpente della Visione, creatura o mostro cosmico, che fa da Porta al Xibalba, un specie di Oltremondo, nel quale vivono spiriti e umani e creature di altri dove…
Ancora nell’epoca antidiluviana compare un mostro rettile, che non si fa conoscere nella sua malvagità, ma porta notizie di dei e di mondi alieni.
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Il sovrano Maya era fisicamente l’asse della Terra. Tutto quello che realmente contava era incarnato nella persona del Re. Nel signore assoluto si materializzavano il destino e la forza del mondo. L’Albero della Vita, prima ancora di divenire l’Albero del Bene e del Male, era un asse tangibile, che scorreva nella regalità delle dinastie Maya.

Il Re era speculare all’Albero della Vita, uno stesso mito riflesso. E la comunicazione fra i mondi avveniva nelle trance che lo assalivano in cima alla ‘piramide-montagna’. C’è una somiglianza con un simbolismo che hai Ma la somiglianza si fa più viva se avviciniamo anche un altro elemento: La Pietra è la Montagna, per i Maya, forza matrice degli eventi. L’Albero del Mondo si fa Serpente della Visione, e collima i due mondi umano e spiritico, riportando l’infero nel cielo, e la terra nel mezzo delle dimesioni.