Nypoqyas
U
n innaturale quanto oscuro senso di stanchezza morde ogni muscolo del corpo, avvillupando le emozioni in un limbo interiore di colpa: è la scia spettrale lasciata dall’incontro con i Nypoqyas.
Creature che gremiscono gli abissi di questo mondo, concepite dagli umani per custodire i loro più remoti saperi e i loro enigmi senza tempo.
Ombre che provengono da gelide steppe nel cuore sterminato del pianeta Terra, esseri del tutto sconosciuti prima.
Io sono Geiko, all’epoca di quanto sto narrando, ero solo un guerriero siriano bambino, e il mio nome era ancora Kelleb.
Dei Nypoqyas non avevo alcuna nozione, nessuno fra gli adulti e gli educatori del mio Clan e nella Caserma mi raccontò su questi esseri.
Per quanto riguarda gli abitanti della Terra, gli umani, non ebbi modo, prima di allora, di allontanarmi dalla Caserma e il mio Clan non ebbe alleati di questa specie.
Per me e i miei coetanei, i terrestri erano solo i nemici da combattere in un mondo da conquistare.
E il mondo da conquistare era quel ‘tutto’ che circondava le mura di cinta della caserma.
Le terre a noi assolutamente proibite, sogno spasmodico dei nostri giochi, e meta irresistibile della nostra infantile curiosità.
Le sentinelle ci controllavano con premura, specie nei giorni in cui i nostri soldati avanzavano in campo nemico per azioni di guerra.
Allora, infatti, era altissimo il rischio di attacchi umani alle nostre caserme. Così, chiusi in quelle mura, ci sentivamo un prigionieri di due mondi in guerra. I nostri respiri di libertà arrivavano oltre le barriere imposte dalle sentinelle, volevamo vedere, capire…
Perché ci proibivano di guardare quel mondo oltre il muro? Cosa c’era di tanto malefico e malsano da metterci in pericolo? La guerra… sì, è vero, infuriava.
Gli umani ci avrebbero forse ammazzati senza pietà. Ma questo non frenava il nostro desiderio di scavalcare quel muro.
Io sono nato assieme ad altri Lacerta in Caserma, nello stesso momento, e nella medesima incubatrice, poiché le nostre madri, essendo gravemente colpite dalla guerra contro gli umani e indebolite, non avevano la forza necessaria per portare avanti l’incubazione naturale.
Eravamo sempre in quattro, noi, con Qhemm, Shanymm, Domep, alcuni ci chiamavano ‘I Quattro di Marte’ perché alla nostra schiusa Marte era ben visibile a occhio nudo nel cielo terrestre.
Evento rarissimo.
Un giorno però l’occasione accadde.
Il Muro rimase sguarnito per un pochi secondi.
Tanto bastò per porre in essere la nostra avventura. Domep guidò la sortita. Scavalcammo subito la cinta, e ci trovammo in un canalone secco, che pareva inoltrarsi verso una città.
Shannymm, la femmina, ebbe un po’ di paura all’inizio, quel panorama tanto vasto la intimorì, ma poi si fece coraggio e riprese a camminare.
- Ma è vero che gli umani sono alti tre metri? – fece Qhemm.
- Non dire sciocchezze! – risposi, come un vero studioso di antropologia. – Gli umani sono alti più o meno come noi siriani, ma hanno i peli sulla testa, perché sono mammiferi!
- Mammiferi?? Non ne ho mai visti, i topi sono mammiferi…Ma quelli li mangiamo, mica ci fanno la guerra! – replicò Shannym.
- Anche gli umani sono mammiferi… - troncò la discussione Domep.
- I mammiferi sono la specie dominante sulla Terra. – concluse. – Ora zitti, altrimenti le sentinelle ci scoprono!
Ci incamminammo lungo il sentiero che pareva allungarsi in modo infinito verso il villaggio umano.
Le ombre di un tramonto inconsueto, non filtrato dai drappi rossi dei nostri soldati, ci accoglieva nel suo smisurato orgoglio di libertà.
Sapevamo del pericolo rappresentato dagli umani, ma questo, anziché farci desistere, ci sosteneva, facendoci somigliare ad antichi eroi siriani, partiti un giorno attraverso il gelido cosmo, per salvare il proprio popolo, e giunti sino al confine dei raggi stellari noti.
Questo volevamo vivere forse: un’avventura epica, una sorta di viaggio iniziatico attraverso quel mondo proibito.
Il sentiero ci portò lungo una fitta foresta, abbandonato il canalone di cemento fummo infatti introdotti in un bosco oscuro e intricato.
- Diavoli! – fece Domep. – Non avevo mai visto tanta vegetazione!
- Sembra di essere nel Libro della Giungla!! – aggiunsi.
- Non mi sorprenderei di incontrare Baghera…- replicò Shannym.
- Vi ricordate Jumanji? – .
- Il film con Robin Williams? Sì, lo ricordo bene, Qhemm – risposi.
- Ricordi anche quello strano suono di tamburi vero?
- I tamburi, sì, come no! – rise Shannym.
- Allora non vi sembrano simili questi rumori?- continuò Qhemm
- Che cosa dici? Di quali rumori parli? – feci.
- Ascoltate! Possibile che non sentite?
- Silenzio! – comandò Domep.
In lontananza cominciammo a percepire rumori sotterranei, oscuri.
Sembravano effettivamente dei battiti ritmati nel profondo di qualche antro ipogeo.
- Lì, li sento venire da lì! –
Qhemm indicò un luogo oltre quell’intrico di arbusti e piante.
Tendemmo tutti i nostri sensi per captare quelle vibrazioni.
I nostri volti erano scossi da fremiti oscuri, di tonalità bassissime, che ci entravano nella mente attraverso i loro movimenti nell’aria.
Ma decifrarli ci era davvero impossibile.
Non somigliavano a voci umane, né ad altri versi di animali terrestri. Domep alzò il mento, per saggiare ancora più sottilmente l’aria, alla ricerca di vibrazioni ‘calde’ tipiche dei mammiferi.
Ma nulla. Silenzio.
Ancora soli con quel ritmo profondo.
Spesso durante la notte uscivamo nel parco della Caserma, per andarcene a caccia, erano battute infantili, quasi senza neppure lo scopo della caccia.
Ci piaceva pianificare la battuta, come un gioco da tavola: disegnavamo il giardino e poi cercavamo di mettere in pratica quanto ci eravamo prefissati.
Le nostre prede variavano dai ratti del magazzino, sino a qualche coniglio selvatico del campo, o un gatto, mai animali più grossi.
Le nostre mani erano ancora poco robuste e non avrebbero di certo potuto trattenere un umano!
Ora però avevamo paura che la nostra caccia di avventure ci avesse portati davanti a una preda troppo grande.
Ma con l’incoscienza di un’infanzia trascorsa nel mezzo di una guerra troppo orribile, decidemmo di raggiungere l’origine di quei cupi battiti.
Aprimmo tutti i nostri sensi alla percezione dell’aria. E seguendone ogni mutamento e ogni vibrazione, finalmente raggiungemmo un luogo in cui quel sinistro suono sembrava percuoterci più intensamente.
- Una grotta! – feci, entusiasta.
- Bella! Guardate come scende in profondità! – fece Qhemm.
- Chissà quant’è profonda, effettivamente…- si chiese Shannym.
- Buttiamoci un sasso e ascoltiamo il tonfo. – suggerì Domep.
Così facemmo. Gettammo in quell’abisso una pietra piuttosto pesante. Dopo alcuni secondi sentimmo un tonfo nell’acqua.
- Acqua? C’è un lago sotto? –
Ero eccitatissimo, come può esserlo un bambino guardando l’ignoto davanti a se, sotto forma di una profonda gola nelle viscere della terra.
- Però è troppo alto, non possiamo calarci così! – feci.
Sentimmo gridare Qhemm dietro.
Ci voltammo: - Guardate, c’è un altro ingresso. Stavolta sembra percorribile…
In effetti vi era un’altra apertura nella roccia, più orizzontale, e praticabile per dei corpi alti neppure un metro e mezzo.
Ovviamente ci infilammo dentro. Il buio si rifletteva nei nostri occhi, e assieme ai mulinelli elettromagnetici della roccia ci regalava un panorama incredibile e meraviglioso. C’era un mondo dentro il mondo che andavamo a scoprire quella notte…
Le vibrazioni ora erano purissime e si poteva percepire un chiarore irreale nella nostra mente, i piccoli corpi dei pipistrelli erano perfettamente riconoscibili nel loro infimo pulsare.
Ci trovavamo in un altro mondo, con sensazioni e percezioni mai provate prima.
Anche fra noi era facilissimo connetterci attraverso quelle vie così perfette di magneti e elettricità sotterranee. Tanto che smettemmo per molto tempo di usare la voce per comunicarci ogni cosa.
C’erano dei piccoli animaletti bianchi simili a salamandre in quei laghi cristallini. Ne facemmo una scorpacciata: avevano un sapore misto di mare, roccia e funghi. L’acqua non era assolutamente fredda. Forse una corrente sotterranea di gas la scaldava… Nuotammo. Cacciare in acqua era una delle attività più intensamente desiderate da noi, ma non potevamo quasi mai esaudirla.
Le sentinelle non ci portavano spesso al lago del parco: troppo lontano dalla Caserma, un luogo poco riparato e insicuro.
Finalmente potemmo scaricare la voglia di spingere l’acqua con i nostri platagi interstiziali delle dita, questo ci faceva sembrare di essere ancora quei grandi signori del mondo che un tempo dominavano sulla Terra e su Sirio.
I Draghi.
Ma poi il suono riprese.
E fu molto più intenso.
Qhemm balzò fuori dall’acqua.
- Sentite? –
Tutti avevamo ora percepito la ripresa di quel tetro battito.
Eravamo spasmodicamente attratti da quel suono. E ci inoltrammo ancora oltre nella grotta.
Finalmente dopo un bel pezzo di cammino, quasi strisciando, giungemmo in una sala enorme, dalla volta di roccia perfettamente liscia. Non sembrava qualcosa di naturale…
Lì il battito divenne quasi una musica complessa, una melodia lontana, irriproducibile…
C’era qualcosa disegnato sulle pareti di quell’enigmatico luogo sotterraneo.
Sembrava a prima vista una cartina geografica, schizzata di fretta, in modo piuttosto infantile, come quelle mappe che vendono assieme a certi romanzi fantasy. Era un pittura enorme… impressionante.
Adornava tutta la sala, avvolgendo l’intera realtà di quel posto.
Poi riuscimmo a leggere delle scritte. La cosa più strana era che le leggemmo in Siriano, nella lingua del nostro mondo natale:
<>
Poi di lontano, muovendosi come un gatto di notte, notiamo un’ombra.
Una figura antropomorfa, alta, sinuosa, che si staccava quasi dalla tenebra prendendo vita.
Ci venne incontro. Ora era davanti a noi.
Notammo perfettamente il viso adunco, dai lineamenti ossuti e triangolare.
La pelle diafana, tanto da sembrare trasparente faceva notare l’architettura del tessuto venoso.
Indossava una strana veste lunga, dorata, leggera come la carta velina.
Fu Domep che parlò per primo fra noi:
- Noi siamo soldati di Sua Maestà. Voi, signore, chi siete?
La figura era più vicina agli umani che a un siriano, la pelle liscia e morbida, senza squame, faceva pensare che fosse uno strano tipo di mammifero.
- Bene, soldati…bene. Sapete che questo posto è proibito? – disse con una voce
simile a un lamento tremendo.
- Oltre non potete andare, questo è il regno dei maghi che non sono ancora morti, e i maghi lo sorvegliano. – continuò.
- I Maghi? Siete un Mago, signore? – dissi, con lo stupore di un bambino colto di sorpresa da un mago.
- Sì, mio caro soldatino reale… E noi maghi non amiamo gli ospiti. Specie se questi non sono stati invitati. –
- Che ci volete fare, adesso? Voi siete solo uno, noi quattro e per di più siamo combattenti siriani! – fece Domep con orgoglio sfrenato, e un’incoscienza infantile altrettanto ambiziosa.
- Uh… combattenti siriani… sì, immagino, moolto feroci…davvero.
Tutt’attorno l’ombra delle tenebre prese ad animarsi e altri figure simili si staccarono dal buio.
In poco tempo ci trovammo circondati da quelle evanescenti creature.
- Noi siamo il popolo dei Nypoqyas, custodi e osservatori del tempo che scorre in questo mondo… Non aspettavamo ‘soldati’ siriani. Voi avete varcato i nostri confini interdetti dell’abisso temporale.
Se vi abbiamo offesi, chiediamo scusa, e se non vi stanno bene le nostre scuse, dovrete vedervela con me. – fece Domep assumendo un’aria da Grande Condottiero.
- Oh, no, non vogliamo combattervi, ‘signori’… al contrario. Vi faremo un regalo.
Ora uscirete dal nostro regno portando con voi qualcosa che ci appartiene. Dovrete consegnarlo a chi comanda dei vostri ‘veri’ soldati.
Presto noi sapremo se siete stati in grado di portare a termine il vostro compito oppure ve la siete svignata, in preda alla paura della punizione, dopo una così grave bravata…
- Svignarcela?? Ma per chi ci ha presi??? – mi alterai. – Dateci quello che ci dovete dare, e noi riferiremo al nostro Comando! – feci, con il piglio di un vero ufficiale.
Il Nypoq ci tese una specie di quaderno sottile, dai fogli di una sottigliezza incredibile, e fatti con una carta mai vista prima: morbida come pelle, e sottilissima.
Tornammo indietro. In realtà la nostra paura che il Comandante ci potesse punire severamente per la nostra ‘evasione’ aleggiava feroce, ma avevamo dato la nostra parola di Soldati di Sua Maestà, e non potevamo disattenderla.
Era una questione di Onore, come si fa tra i guerrieri adulti.
Infatti il Comandante si adirò moltissimo, ci rinchiuse per tre giorni nella nostra camera comune, e non ci fece toccare bibite dolci né altre squisitezze, solo lombrichi viscidi e amari da trangugiare.
Però poi tornò sulle sue decisione.
Entrò con noi nella stanzetta e assieme a noi si sedette sull’unico grande letto.
Aveva un’aria rattristata, pesante, ci carezzò la nuca uno ad uno.
Poi parlò: - Di certo ne avrete avuta molta di paura…ma siete stati capaci di affrontare un simile pericolo a testa alta…bravi. - - Siamo soldati! – fece Domep- Il Comandante sorrise.
Mio Signore, ma cos’era quella cosa che ti abbiamo consegnato? – chiesi, curioso. Lui mi guardò e sospirando disse:
- E’ meglio che queste cose i bambini non debbano venire a saperle. Ma ormai vi ci siete trovati in mezzo, piccoli. Ci sono luoghi nell’Universo che i vermi scavano nei secoli più oscuri, tunnel che collegano mondi ed epoche lontane, che non andrebbero mai rivelati. Questi cunicoli è meglio per tutti che non vengano mai in superficie. E che siano per sempre sepolti nella dimenticanza.
- Quel quaderno…era strano! – fece Shannym.
- Sì. Sono morti degli umani per quel quaderno, infatti. Ma è una cosa troppo brutta per spiegarla adesso. Ora siete liberi dalla mia inutile e stupida punizione. La vostra condanna è già stata scritta…mi dispiace, ragazzi.
Anni dopo capimmo. I Nypoqyas sono come infezioni virulente.
Devastano la memoria di chi li incontra.
Il nostro dolore era ormai diventata una costante.
In quel quaderno, dalle pagine in pelle umana, era vergato l’anatema di potenti stregoni, contro le truppe Siriane e coloro che avrebbero tentato di accedere alle caverne interdette.
Noi quattro ricordavamo atroci morti, guerre perse in un tempo arcaico, abominevoli abissi, e mostruosi monarchi… perché? Ancora oggi me lo chiedo.
Test PaintTool SAI
6 anni fa
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