INTRODUZIONE

Lacerta2: La storia della guerra...

lunedì 29 giugno 2009

I GIORNI DEL SAURO 4

La chiesa era stata scavata nella roccia viva, a forza di piccone e badile, quasi interamente a mani nude. Il colpo d’occhio a chiunque vi si fosse introdotto per la prima volta, avrebbe tolto il respiro. L’unica fonte di luce proveniva da torce appese sulla volta della grotta, e oscillanti, pendendo dall’alto, davano l’idea di strani oggetti liturgici di un culto atavico.
I ricordi della guerra risalivano potentissimi nella mia mente, così ferocemente da non riuscire a porre un pensiero logico in atto. Eravamo rimasti su quel prato, in quella primavera dannata dall’infame inganno. Tutti. Nessuno era tornato. Eppure alcuni di noi ora continuarono a vivere. Come me. Eravamo reduci. Reduci. I ri-condotti a casa. Ma quella lettera che giunse in una mattina d’inverno, mentre la neve cullava le spighe nascenti, e poi lunghi treni di soldati ai confini, ragazzi come me, finiti in primavera dentro un mondo lontano, avvlto dal fumo, dove morire.
Mille e settecento venti corpi avvolti in sudari bianchi dovetti guardare, 1720 stelle di un cielo opalescente. Eravamo duemila. Noi tornammo.
Ora non ho più il sangue sparso sulla mia pelle, e del quale non debbo preoccuparmi se sia il mio oppure quello di un compagno, o di un altro che come me, pensava di dovermi uccidere, altrimenti lo avrei fatto io. Non devo più lavarmi alla sera, quando occhi assassini pendono dalle vette, da ogni albero, dalle fosse di cemento armato. Ora la primavera torna a casa. Il campo davanti alla veranda è costellato di bianche margherite. Bianchi fiori, mille settecento fiori bianchi, bozzoli di farfalle distrutte, questa sera si dilungano come ombre inquiete su di me.
Nella chiesa speravo di trovare un cielo diverso. Ma la battaglia non riuscivo a seppellirla. Provai, tornando a pescare, a proporre uno scambio: la mia memoria, in cambio di un luccio. Ma qualcuno non ci cadde e si tenne il Luccio.
Io sono rimasto in quel campo. Il tempo mi ha seppellito, il tempo che impiega un essere innocente a morire. Impossibile ormai cambiare la storia.
Il temporale colpisce i nostri guerrieri, mentre sono ancora lontani. Il cielo si accende di porpora, l’aria è una sfera rovente, e il bosco diventa d’oro. Dopo la foresta, la città sfuma in una coltre gialla e nera. Nel campo la guerra non s’interrompe. Il colpo di maglio qui s’è abbattuto al massimo della sua potenza, dove l’invasore ha vomitato un milione di soldati.
Presto ci si accorge che non è stato un temporale a sorprendere le nostre truppe. Nulla è rimasto indietro. Inutile tornare a casa, ogni cosa che da sempre è stata, oggi si è schiantata.
E nulla esiste più di quanto abbiamo conosciuto prima.
Oggi rimango in questa chiesa, come se cercassi di parlare con qualcuno. In realtà rimango qui dentro da solo, perché sto cercando di capire. Devo capire cosa significa dio.
E una cosa l’ho intuita: non è in questa chiesa.
Allora è un rifugio ideale.
Ogni pietra, ogni soffio di fuoco, ogni anelito della terra che invoca pioggia, è solo un aspetto del dio, è solo un vago percepire la realtà.
Voglio capire perché mi si dice oggi che non sono più solo. Il prete è umano, dice che siamo tutti fratelli. Voglio capire perché lo dice.
Il fuoco e il vento, l’acqua e l’aria sono cose libere, non parte di alcun pensiero.

giovedì 25 giugno 2009

LA LEGGENDA DELLE STELLE SELVAGGE

Ballata misteriosa, forse circolava negli Staigh combattenti del Nord America, verso i confini fra Canada e Alaska. Non conosciamo molto sul ritmo e la muscia, ma è quasi certo che fosse una corale non accompagnata da strumenti.


Si protendono rami come vetuste ossa bianche alla luna,
mentre traspare dal ventre del vecchio sergente il fiore scuro
che si apre sul confine della vita,

a passi incerti s'inoltra nell'ombra della quiete finale.
Eppure questa notte guidata dai mammiferi appesi alla storia
sembra diversa, mio signore, e forse è per quel morituro,
per quel sergente lasciato qui a questa lunare baldoria
che solo i nostri regni sparsi nei cieli di Sirio ascoltano.
sotto quell'albero il sergente ha visto l'ultima sfida,
ha duellato come l'Onore comanda,
si è reso figlio di Araman alla storia dei suoi soldati,
e ora giace sotto l'albero, guardando la luna piccola
che falcia le stelle mentre di ronda in ronda
i mammiferi la cantano, allontanandosi dal sergente.
Chi sa, fra noi, come fra loro, quali occhi alla fine accoglieranno
i soldati che dormono finalmente sotto quest'albero?

martedì 23 giugno 2009

I GIORNI DEL SAURO 3

Erano prossimi, in fine della storia, a realizzare il loro destino.
Anni Luce di viaggio, la loro vita resa per sempre sui ponti delle immense astronavi, passando di mondo in mondo, attraverso le innumerevoli dimensioni della Fisica.
Momenti scanditi come la polvere di una clessidra collettiva, da pensieri rimasti a casa, sulle verande delle fattorie, fra i campi di grano, e nelle mandrie.
L'echeggiare della loro storia tornava impetuoso come un rio di una giungla pluviale, creando nebbie di ricordi.
Isoltati dal loro mondo originario, perso per sempre, cominciarono a ricordare cosa accadde...


accade prima di adesso:

L’INGANNO

L’aria friggeva di sangue ancora caldo mentre evaporava dai corpi dei soldati morti, sparsi su tutta l’infinita pianura. Il vento del nord est sfiatava la sua corsa dal mare aggredendo i superstiti, rendendo i loro corpi, le loro membra e il loro nervi rigidi come stoccafissi. La linea del fronte aveva ceduto. La neve era impastata al sangue e alla terra, in una poltiglia che rimodellava i fianchi delle lievi alture. Ma su quale parte in gioco avesse vinto non era affatto chiaro ancora. Le moltitudini di cadaveri sembravano ridisegnare nuovi ranghi, di un esercito spettrale le cui fila erano quasi senza fine. Cercai di governare in modo dignitoso la ripiegata dei miei, avevo solo un pugno di combattenti, ma li dovevo ricondurre a casa. A casa… mi veniva spesso da ridere pensando a questa parola. Quei disgraziati una casa l’avevano ancora? Da quanto tempo combattevamo ormai? Anni? Decine di anni? Secoli? Chi più si ricorda ora la strada verso casa? Per quel che mi riguarda, se mai un tempo l’ebbi mai avuta, ora di sicuro non possedevo più neppure una famiglia a casa. Per il resto dei miei soldati credo fosse lo stesso. Femmine? Avevo perso tutte le guerriere, e due anni fa cominciò a circolare quello che dapprima sembrava essere un attacco psicologico del nemico, ma poi coll’andare avanti del combattimento, divenne palese come una reale tattica di guerra: a casa ci stavano sterminando le nostre donne. Una tiepida mattina di primavera l’anno scorso, uno stormo metallico bianco passò sulle nostre teste, tanti apparecchi che si muovevano come un’unica creatura nel cielo. La creature poliedrica vaporizzò nell’aria una nube azzurro-gialla, che si raffreddò e cadde su di noi come grandine. Pezzi di uno strano ghiaccio secco grossi come pugni ci piovvero addosso. Ma il dolore per i colpi non fu nulla in confronto a quanto venne in seguito. I cristalli caddero in terra, il sole li fuse e vaporizzarono. Il fumo dei loro vapori sembrò intossicarci, ma mentre i soldati maschi non ebbero nulla di peggio che un’irritante tosse secca, le femmine cominciarono a vomitare sangue, a cadere in terra contorcendosi, e poi l’una dopo l’altra morirono. A quel punto non rimase che la guerra. Noi e i morti: noi e la guerra. Dovevamo ancora combattere, perché ormai indietro non saremmo più tornati.

Ora della Sesta Armata Corrazzata Reale d’Attacco, la SACRA, non rimanevano che ombre di un passato oscuro, immemori della loro via di ritorno, destinate a errare per combattere, nel resto dei secoli da vivere attraverso la storia. Eravamo rimasti pochi gruppi di combattenti, circa nove reparti, il mio era ridotto a sei-otto individui, ero un capitano e avevo ora la responsabilità, essendo morto il nostro arcoonte (voi lo chiamereste colonnello). Mi elessero Duca, ma che devo dire? A furor popolare di un popolo senza più furore…
Arrancavamo nella taiga, sommersi dalla neve mordente sino alle ginoscchia, quando comparve quasi dal nulla un essere alto due metri e mezzo, dalla corazza dorata e la divisa bianca. Il gruppo si compattò, sguainammo le uniche armi possibili rimaste: le nostre spade. Era uno della parte nemica, e dall’aspetto di quell’ufficiale, mi parve essere la parte vincente.
- Siete la SACRA? - eruppe con una voce profonda, altisonante.
Voltai lo sguardo verso i miei guerrieri sopravissuti e replicai:
- La sacra comprendeva un organico belligerante di trecentomila combattenti, ventimila apparecchi cingolati, diecimila puntatori laser, centomila vettori siluranti terra-aria e terra-terra, mille batterie a pressione aerea e un milione di frequenze d’abbattimento…. Secondo lei questa che vede è la SACRA? -
L’ufficiale si sganciò l’elmetto aureo e argentato, scosse il capo, muovendo dei folti capelli bianco d’oro: - per quel che vedo, questo manipolo di valorosi è ancora la SACRA. - .
Ci guardammo perplessi fra noi.
- Posso sapere con chi ho l’onore di parlare? - chiesi.
- Certamente, capitano. Io sono Gheshan Thun, della famiglia dei Thun-Baill, vengo da un avamposto della mia specie non molto distante da qui.
E mi chiedevo come fosse andata a finire la guerra. -
- Parlate della guerra come di una partita a palla…-
-Per come la vediamo noi non c’è molta differenza. Ma nonostante abbiamo provato orrore nel vedere come un esercito di valorosi è stato distrutto, non siamo potuti intervenire. -
- Intervenire? Chi siete dunque? Uno dei signori della luce? -
Il modo di parlare di quell’individuo, l’abbigliamento ora divenuto un immacolato unico manto bianco, forse per un effetto dovuto alla temperatura in discesa, lo sguardo abissale per profondità, ma sostanzialmente senza espressione, mi ricordava molto la figura di uno degli ‘ambasciatori’ che durante quegli assurdi anni di guerra, avevano effettuato diversi quanto inutili tentativi di rappacificare le parti.
- Vi hanno terminato le donne. - fece, senza troppe manfrine.
- lo sappiamo, signore.
- che farete ora? - continuò
- Non so…cercheremo un nuovo modo di esistere.
Feci senza neppure crederci molto.
- Esistere? Pensate di avere del tempo ancora a vostra disposizione?
- dovremmo morire dunque, secondo voi? - replicai infastidito.
-Morire? Oh, no, no… per carità non fraintendetemi. Perdervi sarebbe per noi una grande sconfitta.
- in che senso state parlando, signore?
- Nel senso che ho il compito di rintracciare i sopravvissuti della SACRA e condurli in salvo. Ora ho trovato il suo gruppo, capitano. E vorrei che la vostra nuova esistenza cominciasse con noi. Sapete chi sono, e di cosa è capace la mia razza, vero?
- So chi siete e da dove venite, signore. Non posso fare altro che ringraziarvi per il vostro intervento…
- State morendo Capitano Khann Iurchi, quanto tempo pensa di poter mantenere in vita il suo gruppo di eroi? La temperatura scenderà ancora e poi ancora…stiamo entrando nel buio della notte invernale. Vi saranno almeno due anni di oscurità, e che pensate di fare?
- Abbiamo combattuto con la notte invernale… - feci, ma era come se quell’essere sapesse dove volevamo arrivare.
- Il suo orgoglio le fa onore, e i suoi soldati meritano ogni rispetto. - continuò - ma se non accetta la mia proposta sarete condannati a una morte senza nome. Soli, in mezzo alla neve, uno ad uno. Chi più ricorderà la vostra gloriosa vita, il vostro ardimento, la vostra epica battaglia?
- abbiamo perso, signore. E non è stata epica, è stato un macello. Abbiamo perso definitivamente…
- Comprendo il suo disincanto e il suo dolore, Capitano del Clan Irchunn shan, so bene che siete gente d’onore e d’arme.
- Voi sapete tante cose su di noi, signore.
- Già. Da secoli seguiamo la vostra razza, e so che combattete per difendere l’esistenza della specie contro forze coalizzate contro di voi.
- ci sono due mondi che vorrebbero la nostra estinzione e forse oggi ci sono riusciti. - replicai.
- Venga con il suo manipolo assieme a me, mi segua alla mia base. - fece, come se stesse gettando sul tavolo da gioco un’offerta irrinunciabile.
Guardai i miei soldati. Erano corpi avvolti in cenci grigi, che forse già si erano preparati a morire. Il ghiaccio mordeva feroce le loro mani, le unghie erano cadute dai loro artigli, la carne delle braccia e del volto era quasi esposta ormai all’aria. La pelle si era bruciata. Le ferite di alcuni puzzavano di marcio. La fame ci faceva nutrire ormai dei nostri morti: una fonte inesorabile di cibo, visto che costellavano la taiga sino all’orizzonte percepibile. Non avevamo più alcun motivo per tornare. Il nostro mondo era crollato sotto l’urto devastante di civiltà dalle tecnologie belliche superiori. Il nostro sistema di vita come lo conoscevamo era terminato.
- E i vincitori? Che fanno? - chiesi
- Loro convengono che un nuovo ordine mondiale senza di voi sopravvissuti non potrebbe esistere.
- questa mi suona grossa! Ci reputano al pari di animali e ora vogliono governare assieme a noi?
- No, Capitano, non fraintendermi. Loro vi annienterebbero seduta stante. Ma siamo noi che abbiamo posto un freno alla loro smania, perché siamo noi che riteniamo impossibile governare e creare un nuovo sistema senza di voi.
- Ci avrebbero inseguito anche durante la nostra ‘ritirata’?
- Sì, Kann Iurchi, vi avrebbero braccati sin nel cuore della taiga, e avrebbero completato la loro missione: sterminarvi.
- Perché si sono fermati dunque?
- Perché le abbiamo convinti a posare le loro energie in un progetto infinitamente più utile. Ora la guerra l’hanno vinta, e non c’è motivo di sprecare altre vite. I loro generali sotto il nostro consiglio si sono impegnati a non incalzarvi, lasciandoci svolgere il nostro compito. Voi siete essenziali al nostro disegno. -
- Ma adesso chi comanda in questo mondo?
- Noi siamo i ‘direttori d’orchestra’. Ma in un’orchestra ogni strumento suona e compone la sua parte. Nessuno strumento è più importante di un altro, altrimenti la sinfonia stona e fallisce.
- E quale è la vostra sinfonia, signore?
- Tanto tempo fa ci fu chi ci ingannò, rubandoci quanto di più prezioso avevamo… e condannandoci tutti a dover lottare per sopravvivere, mentre lui si appropriò del più bel mondo possibile. Noi torneremo in quel mondo, sistemeremo le cose, e ciascuna razza avrà una vita migliore, senza più morte. Il responsabile di questo scempio dovrà ridarci quanto ci tolse, non in battaglia, ma col tradimento. Ecco perché il mondo ha bisogno di guerrieri e gente d’onore come i suoi soldati, Khann Iurchi. -.

Seguimmo l’essere della luce sin nella sua base.
Il posto era di una purezza eccezionale. Ricavato all’interno della montagna, era un rifugio in cui l’aria sembrava eterna e pulita, le luci erano calde e diffuse, e gli abitanti sembravano appartenere a specie diverse, alcuni che non ebbi mai modo di conoscere, altri che mi sembravano familiari.
- Bentornato Gheshan. -
Fece un ufficiale del luogo, avvolto da un pesante mantello bianco come la luce.
- Grazie Muasart. - replicò
- Vedo che hai portato a termine la missione, me ne compiaccio. - fece, guardandomi , poi si rivolse a me: - Sono contento che il clan di Iurchunn sia ancora vivo! -.
Feci un gesto con la mano per porgere la mia gratitudine, ma l’ufficiale mi guardò con un ciglio strano. Rimase immobile. Poi sussurrò, con tono molto pacato: - Dobbiamo avere cura di essere sempre consapevoli del nostro modo di muoverci, Khann Iurchi… Credo che Gheshan saprà istruirla molto bene su questo… Lei creerà una nuova generazione di rettili, capaci di tenere in mano un potere vastissimo, saranno i pilastri di un nuovo ordine mondiale. Ma prima bisogna imparare a gestire il proprio corpo per poter comandare su altri corpi. - .
Detto questo l’ufficiale guardò Gheshan, il quale rimase assolutamente impassibile, e si congedò.

lunedì 22 giugno 2009

Qunreboll'na

Questa pagina è l'unica rimasta intatta e leggibile, così da poterla chiaramente tradurre nella nostra lingua. La tecnica narrativa dell'autore anonimo pare ispirari a una sceneggiatura. Si tratta di un documento di natura aliena, la cui attemdibilità pare attestata da alcuni studiosi dell'UCLA. Quanto segue è la quinta e sesta parte di unba specie di 'diario', il misterioso Qumreboll l'unica interamente tradota, attraverso raffronti e comparazioni filolgiche e semantiche con i testi originali

V) NELLA CORTE REALE

Adènha è disorientata e impaurita. Ci sono solo adulti in quel luogo. Soldati che stanno di sentinella, e alti ufficiali che si alternano entrando e uscendo da un edificio enorme e maestoso: il Consiglio del Regno.

H.: Seguimi Adènha.

I due entrano in un altro edificio, dalle pareti di marmo, lisce, nel quale imponenti statue vegliano nell’atrio.
Adènha le osserva: è sempre più spaesata.

H.: Sono gli Eroi del Casato di Araman, I Primi Re.

Oltrepassano l’enorme atrio.
Un soldato sembra arrabbiato. La causa della sua ira è un piccolo guerriero, probabilmente, visto il tipico saio che indossa, è un allievo della Scuola di Combattimento. Lo picchia furiosamente

S.: Dannazione Cinque Uno! Possibile che non passi ora che non mi combini qualche pasticcio?
Adènha si volge verso Hukko

H.: Ci sono soldati del Primo Livello che stanno qui per imparare la vita di Corte: un giorno saranno le sentinelle del Re. Per loro l’educazione è tutto.

Adènha sorride pensando di non essere l’unica bambina della Corte

H.: Ovviamente tu non devi neppure sognarti di avvicinarti a uno di questi!
D.: No? E perché? Non sono militari di Araman anche loro?
H.: Sono solo soldati. Tu non puoi abbassarti a parlarci. Ora TU sei un intoccabile qui dentro. Se solo uno di questi allievi ti sfiorerà, verrà punito severamente. Non possono neppure guardarti.

I due oltrepassano il piccolo soldato sanguinante per le botte ricevute dal suo istruttore. Il piccolo 51 volge immediatamente lo sguardo a terra, mentre i due gli passano accanto.

Raggiungono una sala con delle sedie e dei drappi pesanti attacchi alle pareti: sono le bandiere della Guerra di Sirio.

H.: Siediti pure, Adènha. Abbiamo ancora qualche momento di pace, prima del test.
D.: Ho paura di non riuscire, Signor Generale…questo luogo, queste persone, mi fanno paura…
H.: Non può farti paura il POTERE. E’ il tuo destino, piccola Adènha.
D.: Lei né molto sicuro…
H.: Anche tu lo sei.
D.: Non capisco.
H.: Presto capirai invece.

Nella sala entra un altro alto ufficiale.

H.: Sondrall, che piacere…
S.: Piacere mio, caro Hukko. Andato bene il viaggio?
H.: Benissimo, grazie, Primo Aiutante Reale.

Adènha è stupita.

S.: Già, veniamo a noi. Lei è la bimba?
H.: E’ lei, il mio piccolo ‘prodigio’…
S.: Sì, vedremo. Sai che LUI ha chiesto ‘merce’ fresca, vero?
H.: Era ora, Sondrall. Quei tromboni che lo circondano non fanno altro che rallentargli i suoi piani!
S.: Bene, però lei mi sembra un po’ troppo ‘fresca’…
H.: Non fermarti alle apparenze. Hai letto dei suoi lavori, no?
S.: Sì, è tutto nella sua scheda personale. Sua Maestà Imperiale conosce ogni dettaglio. Diamo inizio alle danze, allora!

Sul tavolo davanti a Adènha vi sono delle cartelle.
S.: Carissima amica, queste come puoi ben vedere sono schedature di umani. Umani che stiamo cercando di analizzare
Attraverso i loro comportamenti. Ascolta tutti gli archivi e leggi quanto è a tua disposizione, e poi traccia dei profili mentali. Va bene?

Adènha è molto incuriosita.
D.: Sì, mio Signore, è quello che faccio anche a scuola…
S.: Già, ma ora attenta, questi sono problemi più ardui da capire. Hai una ventina di minuti di tempo per gettare un primo rapporto. Buon lavoro… Hukko, usciamo, lasciamo che Adènha lavori.

I due ufficiali escono.

Si vede Adènha che pensa da sola, lavora, scrive appunti, fantastica e immagina gli umani di quelle schede. Lavora febbrilmente con un’intuizione velocissima. I due ufficiali la osservano:

S.: Devo essere sincero, mio caro Hukko… non ho mai visto lavorare così velocemente… Non sembra neppure naturale… E’ tanto giovane…
H.: L’ho detto Sondrall: è il mio piccolo prodigio…

Passa il tempo deciso e i due rientrano nella sala di Adènha.

H.: Abbiamo finito, Adènha, tutto a posto?
D.: Sì, Signor Generale. Ecco la mia relazione su questi tre umani.
S.: L’hai…L’hai analizzati tutti e tre? In venti minuti scarsi?…[ è palesemente stupito]
D.: Signor Primo Aiutante Reale, a questi tre umani era già stato somministrato il test di Randak, non è stato quindi difficile ricostruire certi movimenti di sinapsi. Il grosso del lavoro quindi si è concentrato sulle loro parole, sul racconto biografico…
S.: Infatti hai tracciato un profilo perfetto della biografia di ognuno. Non ci sono errori, se non il solito margine sul profilo mentale, ma il tempo era troppo stretto… Un adulto non riesce a fare di meglio. Io… io non so che dire. A questo punto l’ultima parola spetta al tuo nuovo… Insegnante.

Sondrall esce dalla sala.
Hukko e Adènha si dirigono verso l’alloggio temporaneo della giovane promessa.
Mentre camminano un piccolo soldato inciampa e non volendo guarda Adènha negli occhi.

H.: Questo non puoi permetterlo, Adènha, prendi provvedimenti immediati.

Lei rimane disorientata. Intanto giunge l’Istruttore. Sbraita al piccolo, quindi porge la frusta a Adènha.
H.: Devi assolutamente intervenire, disciplina questo scellerato.
D.: Ma…ma io…io…non l’ho mai fatto…
H.: Prendi la frusta e colpiscilo, finché non ti chiede scusa per l’oltraggio.
D. Signore…ho paura…gli faccio male…
H.: NO! Non puoi permettere che qualcuno oltraggi la tua persona! Ne va dell’Onore di ufficiale. Colpisci!

Adènha sopraffatta dalla violenza del tono di voce Hukko schiocca la frusta. Il piccolo chiede pietà. Ma qualcosa in lei cambia, la sua espressione si fa fredda, e lo colpisce ancora. Poi un'altra volta. Sino a rimanere completamente inespressiva di fronte al dolore del piccolo soldato.

H.: Ora lui ti rispetterà per sempre. E temerà la mano del tuo potere. Andiamo…

VI)...[continua]

THETH

PUNTATA 1 LA NOTTE DEI RETTILI

Il piccolo Theth ancora non sapeva leggere. Se solo avesse potuto leggere i giornali in quel periodo si sarebbe di certo rifiutato di crescere. Non è una bella cosa la guerra per un bimbo di appena un anno. Lo è ancor meno se sua madre è morta e suo padre si trova lontano, su qualche pista innevata, a procacciare il cibo. Il papà, un bel rettile alieno di circa trent’anni, appena una cinquantina se calcolati nel tempo del mondo umano, aveva già avuto almeno una dozzina di figli, ma Theth era l’unico concepito e nato sulla terra. Poi con la vecchiaia si sa si diviene più accondiscendenti verso i piccoli, sicché Korah, aveva una specie di legame simbiotico con suo figlio. Korah e Theth appartenevano alla famiglia Aramàn, ma questo era l’ultimo dei pensieri per il padre, terrorizzato ora solo dalla mancanza di prede in grado di sfamare sia lui che suo figlio. Theth poteva accontentarsi anche di piccoli topi, ma l’inverno così rigido delle Montagne Rocciose aveva indotto quei piccoli mammiferi al letargo e scovarli era divenuto molto difficile. Korah invece aveva fame. Tanta fame. Erano mesi che il suo stomaco si contorceva in digiuni troppo prolungati.
Il passo di Sterner era stranamente praticabile, così Korah decise di perlustrare le zone al confine con le linee dell’esercito regolare Terrestre. Zone pericolose un tempo, ma ora la guarnigione di Korah era stata annientata, sua moglie fu uccisa in quella battaglia, mentre lui riuscì a sopravvivere perché in quel momento era al comando del manipolo in retrovia. Non se ne fece mai una ragione. Ma fu lei, Jhilkell a decidere: mai tutti e due nello stesso posto, così almeno non ci ammazzeranno assieme, e Theth potrà sopravvivere. Ma ora lui e Theth erano rimasti soli, anche il suo manipolo fu devastato, alcuni morirono per una strana affezione virale, altri caddero avvelenati dalla Polvere Rossa, altri ancora non si adattarono mai ai continui mutamenti del clima autunnale. Theth nel frattempo, rimasto nella grotta accanto al fuoco e semi sepolto dalla pesante coperta termica, giocherellava con dei pupazzetti che il padre aveva intagliato assieme a Jhilkell. Il bimbo aveva ottima salute, e nonostante il clima impietoso per la sua specie, resisteva bene, e cresceva robusto. Korah ne era orgoglioso, per i Rettili la prole è veramente tutto.
Fu quella notte che Korah giunse al limitare del territorio sino ad allora battuto per la caccia. Oltre vi era una piccola costruzione umana, tipica, con il tetto spiovente, tende alle finestre, e un fienile sul retro. Il Rettile non vi si era mai spinto sino ad ora: la reazione dei Mammiferi che vi abitavano sarebbe stata fatale, e lui non poteva permettersi di morire. Si accucciò, osservando un’ombra che si apprestava a uscire dal fienile. La sagoma imponente era quella di un Uomo maschio, forse sulla cinquantina, con una chioma sciolta che gli lambiva le spalle. Forse chissà un tempo quell’Uomo era stato un combattente nelle schiere che sconfissero i Alieni, un anno fa. Poi dietro all’Uomo altre ombre fecero la loro comparsa, ma stavolta si trattava di piccoli esseri bipedi, starnazzanti, che seguivano i piedi del Maschio per beccare insetti e vermi smossi nella paglia del magazzino. Korah rizzò l’attenzione su quei piccoli esseri: polli! L’Uomo con un bercio cavernoso ricacciò i pennuti nel fienile, chiudendo la massiccia porta di legno. Con i loro pulcini Theth sarebbe andato avanti tutto l’inverno e a Korah sarebbero bastati due o tre di quegli uccelli adulti. No, troppo pericoloso. Sicuramente i mammiferi non avrebbero gradito l’intrusione di un Alieno nella loro fattoria! E chi avrebbe allora aiutato il piccolo Theth qualora una pallottola avesse trapassato il cranio di suo padre? Ma… è tutto lì. L’approvvigionamento di carne assicurato per l’inverno, e il riposo dalle fatiche di troppe battute di caccia… tutto stipato in un magazzino!
Korah si rilassò per qualche minuto sulla neve immacolata. Pensò, valutando il prezzo di una simile avventatezza. I morsi allo stomaco erano lancinanti, e la sua debolezza progressivamente gli impediva di braccare animali grandi abbastanza per sfamare se stesso e suo figlio. Anche pescare nel fiume ghiacciato era diventato difficile: gli Uomini perlustravano spesso la superficie gelata, perché anch’essi vi avevano posizionato le trappole nei fori. E per Korah il trovarsi muso a muso con un cacciatore umano armato di carabina era un pensiero che lo terrificava. Forse il male minore era avventurarsi in quella fattoria e razziare il pollaio. Sicchè il Rettile attese che la notte fosse piena, e l’oscurità totale della montagna coprisse i suoi movimenti. Studiò la presenza di un grosso cane da slitta: era davvero un problema. Se si fosse messo ad abbaiare avrebbe svegliato tutto l’emisfero nord del pianeta… Ma ucciderlo avrebbe di certo scatenato la violenta reazione umana, e Theth non poteva di certo sostenere la fuga attraverso i passi sepolti dalla neve. Un Cane non è un pollo, Korah lo sa benissimo. E’ di quanto più intimo sia alla coscienza umana. Si può mangiare tutto e tutti, ma non i Cani! I Alieni hanno mangiato anche gli Uomini stessi, ma guai ad avvicinarsi ai loro Cani! No, Korah avrebbe dovuto liberarsi del Cane, ma senza ferirlo. Pensò così ad un diversivo per l’animale. E diede inizio al suo piano di caccia.
Si inoltrò lentamente nel territorio umano, quindi quasi strisciò sino al magazzino, dove vi era anche il grosso cane. Con un pezzo di carne lo attirò su di se, quindi con movimenti più rapidi di una scarica di lampi ( Korah è un Rettile…), chiuse la bocca dell’animale con una corda, evitando di ferirlo. Il Malamute si dibatté ma il Sauro era forte e potente, le sue braccia dure come l’acciaio lo stringevano in una morsa soffocante. Combatterono per una manciata di minuti, ma il Rettile ebbe la meglio, fortunatamente il cane era vecchio.
Ora l’accesso al pollaio nel magazzino era libero. Le galline terrorizzate cominciarono a sbattersi ovunque, perdendo penne e piume, Korah cercò di ucciderle nel modo più rapido possibile, vive avrebbero fatto troppo rumore. Poi trovò i pulcini, li prese vivi, depositandoli in un altro sacco. Il bottino era cospicuo, sei polli, e almeno una ventina di piccoli. Bene. Era giunto il momento di scappare. Sembrava filare tutto liscio: l’unico testimone era la Luna, e non avrebbe di certo urlato! Lasciando così a Korah il tempo per fuggire oltre il passo di Sterner.

***




PUNTATA 2: LUCI E TENEBRE

Sembrava appunto. Infatti la calma di quel gelo avvolgente era solo una coreografia suggestiva della natura, due grossi uomini stavano lavorando all’esterno e insospettiti dagli strani rumori nel fienile decisero di dare un’occhiata. Il Rettile si acquattò quasi spiaccicandosi su una trave, raggiunta con un balzo rapidissimo e potente. Gli Umani una volta all’interno si guardarono attorno. Poi si accorsero del cane legato. Quindi mentre l’uno subito lo soccorse, l’altro allungò lo sguardo al pollaio, e urlò:
- Maledizione Walker!
L’amico sollevò la testa dal cane in direzione delle galline e si corrugò.
- Che cavolo… che cavolo è successo?
I due una volta accortosi che il cane stava bene, si recarono dentro il pollaio. I polli superstiti deambulavano atterriti dalla paura, rimasti in pochi, mentre nessun pulcino sbucava da sotto le ali delle chiocce.
- Donnola?
- Walker, da quando le donnole legano i cani da guardia?
- Hai ragione Frank. Allora che diamine è accaduto? Ci hanno rubato le galline, questo è certo…ma chi? Chi può essersi spinto sino quassù con tutta questa neve e di notte per giunta? E solo per rubare dei polli?
- Walker guarda Stan!
Fece uno dei due, indicando il comportamento del Malamute che aveva preso a ringhiare verso le travi sulle quali era nascosto Korah.
Intanto il Rettile con un macigno sul cuore chiese perdono al figlio, tutti e due sarebbero morti, ma il piccolo Theth forse avrebbe patito una tormentosa agonia, questo gli tolse quasi il respiro, oscurandogli la vista su quanto stava accadendo intorno a lui.
Gli uomini illuminarono il fienile, ma non si accorsero subito di Korah. Cercarono di capire che cosa avesse segnalato Stan, e perlustrarono ovunque, prima di alzare gli sguardi verso la volta del soffitto.
Ma la grande lucertola decise di prendere l’iniziativa e scese dal suo nascondiglio, prima che i due lo trovassero.
Gli Uomini si sentirono chiamare alle spalle, il Malamute ringhiò ferocemente ma ebbe timore nell’avanzare verso l’intruso.
- Signori non sparate!… Sono stato io a causare tutti questi danni. Ma non sono armato!
I due Uomini si voltarono di scatto.
- Accidenti un Rettile!
Inveì uno. Invece l’altro, quello già osservato dalla collina, con i capelli lunghi sino alle spalle, rimase calmo. Osservò il Alieno, quindi parlò:
- Fame? Per questo hai ucciso tutti questi animali? Per fame?
- Avevo fame, sì… non so come posso riparare per questo danno.
- Ma non eravate tutti morti da queste parti? Sono mesi che non vedo più una Lucertola in giro!
- Diavolo d’un serpente! – sbottò l’altro Uomo – e non potevi prenderti una sola gallina? Che bisogno c’era di questa strage?
Korah mantenne lo sguardo sull’Uomo, cercando di conservare un minimo di dignità, e chiese loro:
- Io, signori…, vi prego fatemi andare via, o pagherò davvero troppo per un po’ di polli!
- Andare via? Ma sei pazzo? Hai appena assalito Stan, ucciso degli animali, violato una proprietà, cosa vorresti ora, pure un caffè? Accomodati allora!
- Sta calmo Walker! – frenò l’Uomo dai capelli lunghi.
Korah rimase in silenzio.
- Perché devi andare via? E perché dici che ti faremmo pagare troppo? - fece Frank.
Il Rettile non rispose. Disse solo: - Vi prego, signori, chiedo il vostro perdono. Ma non mi fermate, o un innocente pagherà una condanna iniqua.
- Chi sarebbe quest’innocente? Parla perché non voglio farti del male. Ma tu non devi porci ricatti né giochi di parole…
- Io…io non sono solo.
- Maledizione lo sapevo! Ma è così difficile liberarsi di questi dannati rospi?
Eruppe l’altro uomo, Walker.
- Bene. Dicci chi c’è con te, allora.
Korah abbassò lo sguardo, non seppe lì per lì cosa rispondere, poi però sentì scorrere il tempo e la temperatura ormai era troppo bassa, suo figlio aveva bisogno di scaldarsi dormendo sotto il corpo del padre.
- No. Non ci sono altri come me in giro, solo mio figlio. Ha poco meno di un anno. E ora si starà congelando, se non vado da lui morirà di certo.
- No.
Korah ebbe una fitta. A sentire quel diniego quasi morì.
- No, non potrete sopravvivere a quest’inverno. – continuò l’uomo, Frank – E’ troppo dura. Ho sentito le previsioni e pare che questi mesi siano dannatamente i più freddi del secolo. Se dici la verità allora ti aiuteremo. Walker sta zitto!
- Non ho fiatato…
- Appunto evita di farlo ora. Dicevo… se ci hai detto la verità dovremmo aiutarvi. Io mi chiamo Frank Abbot e sono un biologo, la mia specializzazione sono i rettili. Il mio amico invece è Peter Walker, altro biologo. Sei in un centro universitario di Agraria e Allevamento. Qui vive una comunità di ricercatori e agricoltori. Ora però portaci da tuo figlio, non può sopportare questo freddo.
Korah, seppur con un masso che gli comprimeva il respiro, decise che farsi aiutare sarebbe stata la salvezza per lui e il piccolo Theth.
Partirono subito, gli uomini si attrezzarono con zaini e una borsa medica, un localizzatore GPS, e delle coperte per il piccolo Rettile. La notte era di un’oscurità straordinaria, senza luna, nera come un abisso misterioso aperto sul cielo. I tre avanzano, gli uomini faticavano nelle tenebre e nella neve, mentre Korah era più lesto, e si muoveva agilmente al buio. Però gli Uomini erano meno turbati dal violento mutare di tempo che scuoteva le montagne, mentre per il Rettile la fatica di adeguarsi continuamente a condizioni climatiche diverse era davvero soffocante. Dopo quasi due ore di cammino i tre raggiunsero la grotta dove Theth e suo padre avevano trovato riparo. All’interno, fra le rocce non era freddo, l’umidità ristagnava e creava una condensa piuttosto tiepida, un tepore non proprio tropicale, ma almeno non si congelava. Sotto una coperta termica pesante e refrattaria agli sbalzi della temperatura si muoveva qualcosa. Korah nel vedere quella coperta smuoversi quasi si commosse. Il piccolo Theth era davvero robusto e il freddo non lo aveva ancora indebolito. Frank Abbot sorrise: - E’ questo il tuo bambino?- Kora annuì. – Mio Dio è più piccolo di quello che pensassi! – continuò, mentre Theth si lanciò letteralmente su suo padre, avvinghiandosi al suo polpaccio. Kora lo sollevò, le piccole mani ancora palmate si aggrapparono alle spalle del grande Rettile, quasi a non volerlo più mollare per il resto della vita. Frank fece per tastargli la pelle e sentire se ancora era tirata e in salute, ma Kora, istintivamente lo minacciò con un soffio inumano, cavernoso, tetro. Poi si accorse della reazione del tutto fuori luogo, e permise all’Uomo di toccare il figlio. Theth sentendosi sul capo quella strana mano, morbida, calda e diversa cercò di seguirla con gli occhi, quindi di assaggiarla con la lingua forcuta. Frank lo lasciò fare. Theth non si dimostrò ostile nei confronti dei due umani. Frank si guardò attorno, in quella caverna non c’era altro che la coperta e i pupazzetti di legno. Il resto era roccia e oscurità. Si potevano percepire le voci dei due Rettili mentre se ne erano rimasti soli nelle lunghe giornate di tempesta, al buio, un dialogo di sguardi nelle tenebre, giochi, e sbuffi di sauri infantili: un’intimità insondabile, nascosta nelle viscere di un’era perduta sulla Terra, e celata da distanze inimmaginabili. Theth era nato da poco meno di dodici mesi, camminava eretto per pochi metri e poi cadeva con tonfi sonori. Pronunciava qualche parola, e con il padre deve aver passato giorni a ripetere poesie, canzoni, perché nonostante la solitudine, aveva un vocabolario piuttosto vario. Quei due sauri sembravano un essere unico, una sola anima, una simbiosi perfetta di volontà.

***



PUNTATA 3: FINE DEL VIAGGIO

Quando discesero la montagna verso la fattoria, Kora sembrava tremendamente affaticato. Aveva il respiro corto, e le gambe gli sembravano cementate al suolo. Frank si fece avanti offrendosi per portare il piccolo Theth, ma Kora lo fermò. – Ce la faccio, Uomo. Devo solo fermarmi almeno un po’… - disse, sospirando. I quattro si fermarono un istante, Kora pose il figlio a terra, il bimbo voleva correre, ma era notte fonda e il terreno congelato. Il rischio di un’ipotermia era troppo grande. Kora placò lo spirito smanioso del figlio, a dodici mesi i Rettili Siriani sono pieni di energia, e corrono per qualche metro, eretti, si arrampicano dappertutto, combinano guai e sono di una curiosità infinita. Dopo qualche minuto il Rettile sollevò Theth e lo ripose nello zaino che adoperava per trasportarlo, e i quattro ripresero a camminare. Kora mostrava i segni di un periodo trascorso fra la continua ricerca di prede attraverso i passi gelati della montagna, pochissime ore di sonno, e la preoccupazione che suo figlio morisse congelato o di fame… Le mani erano dure come il marmo, ma bruciate dal ghiaccio, segnate dai morsi delle prede, così come sul volto righe di bruciature solari e le cicatrici dovute al freddo, lo rendevano ancora più alieno e selvatico. Le squame a placche sul volto erano coriacee e di un verde scuro screziato di nero, segno della maturità e dell’esperienza del Rettile, e rendevano il suo aspetto antico e terribile. A differenza del viso di Theth, di un verde smeraldo lucente e omogeneo, ancora morbido e liscio al tatto.
Finlamente raggiunsero la fattoria. Frank e Walker aprirono la porta della casa, all’interno dormivano tutti. Chissà che reazione avrebbe avuto quella comunità umana alla vista di quel grosso Rettile maschio…
Ma in quel momento la prima cosa che venne in mente a Kora fu quella di porre il figlio a terra per controllarlo. La marcia notturna avrebbe potuto gravare sulla sua salute. Invece Theth era davvero un bimbo forte e sano, e non mostrava che i normali sintomi di un gran sonno, del tutto legittimo. Frank riuscì a vincere la riottosità di Kora e visitò il piccolo rettile.
Walker ora non provava più disprezzo per Kora, ma era attento a quella che stava facendo il suo collega:
- Tutto a posto il piccoletto? – chiese preoccupato.
- Il cucciolo sì… Ma mi preoccupa il maschio adulto…il padre. – rispose Frank.
- Perché?
- E’ esausto, ha passato mesi senza dormire, correndo appresso agli animali, sotto la neve e la pioggia, completamente solo. L’enorme preoccupazione che suo figlio si ammalasse o morisse… ora credo che il suo organismo sia gravemente compromesso. Respira male e le placche epidermiche facciali sono quasi bruciate per il gelo: forse si è preso qualche batterio. E’ stato esposto troppo tempo alla temperatura minima critica…
- La minima critica? Accidenti Frank, allora è fortunato se cammina ancora!
- Già… coi Rettili non si scherza sulla temperatura corporea. E se per questi sauri scende sotto i dieci gradi sono spacciati! E Kora credo che abbia avuto picchi critici nella minima anche di quindici gradi…
Frank fece cenno a Kora di avvicinarsi. Il Rettile obbedì docilmente. L’uomo gli parlò:
- Hai avuto molto freddo ultimamente vero? Dovresti misurarti la temperatura.
- Ma no…no. Sto bene. – fece, quasi infastidito da quella premura – Mio figlio, piuttosto. Dovrebbe bere, e fare un bagno…
- Non stai bene Kora… Ti prego accetta il mio aiuto. Non è un disonore che un umano aiuti un siriano. Oggi siamo tutti sulla stessa barca.
- Disonore? Ma che dici Frank Abbot… - replicò con voce rauca – L’ultimo brandello di Onore che avessi ancora addosso l’ho buttato via rubando nella tua Casa. Ora non è certo per Onore che mi trovo con mio figlio nelle mani di Uomini…
- Tu, andando contro te stesso, hai salvato la vita a tuo figlio…per me non c’è Onore più grande.
continuò l’Uomo. – Ti prego, dammi retta, misurati la febbre… Theth ha bisogno di suo padre.
- …Dammi il termometro, Uomo. – sospirò faticosamente Kora, con tono dismesso.
Frank passò al Rettile un termometro specifico per l’organismo siriano. Aveva due scale, una chiamata Minima, l’altra Massima. La prima partiva da dieci gradi Celsius e arrivava sino a venticinque. La seconda partiva da trenta e giungeva sino a quarantacinque gradi Celsius. I cinque Gradi di scarto fra l’una e l’altra venivano calcolati solo se la temperatura Minima e Massima coincidevano negli apici. Era un congegno elettronico e percepiva il calore dalla bocca del Rettile. Pochi secondi con la punta del termometro sulla lingua e si poterono leggere le condizioni dell’organismo di Kora:
- Accidenti, amico! – esclamò Frank. – tredici e trentadue! Andiamo male… devi assolutamente riposare!
Kora obbedì all’Uomo. Con il figlio vennero sistemati in una stanzetta piccola, ma non squallida, anche se dava l’idea di essere in prigione. In effetti furono chiusi a chiave dentro, per sicurezza, dissero gli Umani, e Kora non polemizzò. Sistemò il letto di Theth che forse, per la prima volta nella sua vita, provò un materasso, un luogo asciutto e caldo… e chiuso. Il piccolo rettile alzò la testa e bisbigliò, con una voce lamentosa:- Non possiamo cercare le stelle oggi? – Kora lo guardò con tenerezza, poi si corrugò serio, come era il suo solito atteggiamento di capo… e gli rispose: - Ma come facciamo, il cielo è fuori, e noi ora dobbiamo stare qui… fa troppo freddo ti potresti ammalare. –
- Ma lo facciamo sempre …
- No, Theth, non lo possiamo fare oggi, e poi il cielo è nuvoloso non si vedrebbe nulla!
Kora era stremato, le sue ultime forze le stava finendo in quella piccola discussione con Theth. Ma finalmente anche Theth cedette al sonno. Il padre lo pose delicatamente nel letto, coprendolo e cercando di non fargli scivolare le coperte di dosso, fissandole a ogni angolo del materasso. Theth stava bene, in forma, anche se stanco. Ma lui si sentiva addosso un torpore grigio e un oscuro malessere. Le ossa sembravano essergli diventate di cartone, come se si dovessero spezzare a ogni minimo sforzo, e un’orrida sensazione di acqua negli occhi gli annebbiava la vista. Riuscì a stento a lavarsi, e indossare biancheria pulita, quindi cadde quasi come un corpo morto sul letto e si addormentò. Theth intanto si era liberato dalle coperte e aveva raggiunto il letto del padre, non era abituato a dormire lontano da lui. Kora istintivamente lo accolse ma stava già dormendo. I Rettili non avevano mai dormito un giorno solo l’uno staccato dal corpo dell’altro, sicché il piccolo Theth trovò pace solo fra le braccia del padre.
La mattina seguente fu Frank a svegliare i due. Portò loro la colazione, dentro una scatola c’erano topi e criceti, in un’altra topi neonati per Theth. Kora aveva bisogno di mangiare. Erano mesi che non si nutriva a sufficienza, e la quantità di animali portata da Frank lo confortò. Frank era un biologo e un erpetologo esperto. Sapeva come si nutrivano questi rettili, e non provò ribrezzo quando Kora si cacciò in bocca un criceto vivo. Ma decise lo stesso di lasciarlo solo con il figlio. Il pasto di un rettile richiede una certa tranquillità.
Kora mangiò. In seguito Frank lasciò che i due passeggiassero un po’ nel viale, e notò la forza del piccolo Theth, che trotterellava attorno al padre, quando a quell’età i bambini umani a malapena gattonano. Non solo. Theth parlava, non benissimo, mangiava ancora parecchi verbi, ma le sue frasi erano chiare e comprensibili. A un anno un Visitor possiede la maturità di un umano di tre o quattro anni. E Kora aveva cresciuto bene quel piccolo, nonostante le asprezze vissute. A un certo punto notò che il padre si sedette, quasi trascinandosi verso una panchina. Aveva un’aria sofferente, come se si fosse avventurato nella maratona di New York, e l’avesse corsa tutta. Ora non se la sentì di rimanere ancora in disparte e uscì sul viale. Raggiunse i rettili sulla panchina: - tutto a posto, Kora? – il rettile adulto lo fissò e lo ringraziò. Gli rispose: - No...no tutto a posto, solo…solo, AH! Per Shoon! Che dolore! – scattò contraendo la mano.
Frank notò lo spasmo incontrollato della mano, si chiuse a pugno in una morsa convulsa e feroce. La sfiorò, era gelida come una pietra tombale. Kora ansimava. Theth che era distratto dalle fontanelle della fattoria, si voltò verso il padre e corse verso di lui. – No, Frank, ti prego… non gli dire nulla…non voglio che veda questo…- Frank obbedì. Sapeva bene cosa stava accadendo a Kora, e ne provò orrore e tanta pena. Una volta passata la soglia critica della temperatura corporea, le funzioni neurologiche e circolatorie si compromettono gravemente. Una delle prime funzioni a danneggiarsi è fisiologica: l’organismo di Kora, esposto per un periodo a una temperatura corporea al di sotto dei dieci gradi, ora pareva privato della capacità di costruirsi la vitamina 45\12, che negli alieni è fondamentale per la produzione di neuro-mielina, una guaina che ricopre i nervi, tipica dei Rettili Siriani. Di conseguenza ora i suoi muscoli si contraevano in spasmi involontari. Spesso questa forma di degenerazione fisiologica porta il rettile alla morte. La vitamina 45 inoltre ha un ruolo nella percezione del dolore. Probabilmente adesso Kora avrebbe potuto sentirsi assalito da dolori inesistenti, senza causa esterna, perché la vitamina compromessa aveva invaso anche il cervello. Frank pensò che quel Rettile non avrebbe avuto scampo. Gli augurò in cuor suo che non soffrisse troppo. Ma fu un augurio utopistico. Kora sentiva fitte continue ai muscoli delle braccia e alle mani. Tanto che gli veniva difficile anche carezzare Theth.
Il giorno appresso Theth e Kora passeggiavano sul prato. Theth corse verso Frank, ormai lo conosceva, anche se ne era ancora un po’ diffidente, ma incoraggiato dal padre propose all’uomo uno straccetto legato ad una cordina e a sua volta legata ad una palla. Frank sorrise e cominciò ad agitare quella stoffa sul terreno, Theth si rizzò attento, quindi l’Uomo lanciò la palla e il piccolo rettile la inseguì.
- Lo sta istruendo alla caccia…- sospirò fra se. – Cerca di tirargli fuori il suo istinto predatorio. E devo essere sincero che questo piccoletto ne ha da vendere! – quindi si avvicinò a Kora, e questi: - Frank… posso dirti una cosa? –
- Sì certo…-
- Theth crescerà senza di me. -
- No, non dirlo…
- Lo dico invece. Non credo nei miracoli. Fra un paio di giorni non potrò neppure più camminare. Però promettimi una cosa. Promettimi di volere bene a Theth… di non pensare che sia il figlio di uno che ha comandato in un esercito in guerra contro il tuo mondo. Di non vedere me in lui, ti prego, promettimelo.
- Tu farnetichi, Kora! Tu sei lui e lui è te. Il tuo sangue scorre nel piccolo Theth. Ed è il sangue di chi ha creduto nella sua gente, e servito fedelmente il suo popolo. A me non importa che tu sia stato mio nemico sul campo. Theth non è mio nemico. Ma è tuo figlio, e deve ricordarsi di te e del tuo mondo. Io lo amerò te lo prometto. Lo proteggerò dal male delle vendette umane, non temere. Ma ora non parlare come se tutto fosse ineluttabile…
- Perché cosa credi che mi accada adesso?
- Adesso devi stare con Theth. Poi vedremo, d’accordo?
- Sì…vedremo, d’accordo.
Intanto Theth era tornato da Frank con la palla. il suo volto era di un verde vivo, smeraldo, dalle squame lucenti, e ancora morbide. Portando la palla, Frank notò le mani con le dita palmate, segno infantile. Infatti quelle strane mani da coccodrillo spariscono attorno ai sei anni, con la prima muta di pelle.
Kora guardò Theth con una dolcezza che era incredibile per quegli occhi rossi e gialli, dalle pupille verticali, freddi quanto immobili. Ma Frank si accorse che i due rettili si stavano parlando di sentimenti, Kora con il suo sguardo raccontava a Theth di un Amore sviscerato, senza confini, immenso come lo Spazio che egli attraversò anni addietro. Era la prima volta che l’Uomo si accorse che quegli esseri erano capaci di avere un’anima e di provare sensazioni simili alle sue. Spesso, combattendoli, aveva elaborato un’idea diversa, contraria. Ma questo ora non importava più Kora si rivolse a Frank:
- Uomo… - disse con un profondo sospiro – Combatto da quando avevo otto anni, a dodici ho preso a far figli, fra un po’ sarei dovuto andarmene in ritiro, e sono stanco… Sì, sono stanco. Questa guerra non ce la faccio a combatterla. Gli ultimi sforzi li ho compiuti per mio figlio, e ora non mi sono rimaste che pallide energie di vecchio comandante. Theth è l’ultimo della mia linea di sangue, e forse l’unico con un destino icerto, ma diverso… Forse non combatterà, se deciderete di tenerlo con voi, ma qualora abbiate per lui scelte diverse, per favore, portatelo prima dei sei anni in una Caserma aliena. Altrimenti tutto per lui sarà difficile…
Kora era visibilmente esausto. Forse davvero non gli rimanevano che poche ore. Il volto era opaco, come la pelle delle sue dure mani, ma gli occhi ancora riflettevano la sua luce interiore, la profondità abissale di pensieri inaccessibili a Frank e alla specie umana. Fra poco l’Uomo avrebbe dovuto trovare il modo di dire a Theth che suo padre non sarebbe più stato con lui fisicamente…ma che lo avrebbe accompagnato per sempre nella sua anima. Avrebbe dovuto spiegare a un piccolo alieno di un anno circa cosa fosse la Morte. Forse il Piccolo Theth non avrebbe capito, si sarebbe sentito abbandonato da suo padre. Forse, forse, forse… quante incertezze, quante teorie. E gli era assolutamente impossibile vedere Theth come un alieno in quel momento, dopo quello scambio di sguardi con il padre, così vivi, colmi di emozioni tanto segrete, come le emozioni che legano ogni bambino ai suoi genitori. Kora e Theth si sarebbero fusi ora in un unico spirito… e Frank avrebbe dovuto cercare di non far deludere il piccolo rettile sul conto di suo padre, che lo protesse nelle tempeste di neve, dall’oscurità, dalla fame, a costo della sua vita e di se stesso.

domenica 21 giugno 2009

Stella seguimi - Testo.

Di questa canzone non possediamo la traccia musicale, ma solo il testo. Dell'Autore conosciamo solo il nome. Si pensa fosse un Alieno destinato al combattimento sulla tessa, poi disperso nelle infinite lande della steppa siberiana.
Il nome del compositore:
Feork di Qhomorkius.
Si hanno tracce della sua 'canzone' nella terra di Ulal - Penisola di Camchaka- URSS 1985


Seguimi, stella che sei appena sorta in me,
lungo questo sentiero di cacciatore
sul clivio della montagna, che sale alla luna
e sale oltre verso le vette
sulle quali seduti assieme vedremo Sirio
Seguimi stella del mattino, durante le mie ore,
mentre da soldato cerco di non fare del male,
è come una pietra dura, ma la guerra, stella dell'alba,
prima o poi riuscirò a levigarla.
E non farò più del male, allora,
nessuno nè io andrà al suo quotidiano martirio.
Seguimi, Stella che ardi vicino al Sole,
lungo questo sentiero di cacciatore
sul clivio della montagna che sale alla luna
e si perde verso le infinite volute del vento di Sirio,
Un Vento da lontano che mi dice dove mi trovo,
e ricorda al mio spirito di essere cacciatore.
Stella che sei ora sul mio corpo,
sento il bollore del nucleo che mi avvampa la mente,
e mi sussurra del fuoco che porti nelle vene,
non mi pento di averti desiderato, ora, che sei su di me,
come il mare che spezza l'arida serrata del sole,
Seguimi, perchè non mi va di essere ancora fermo nel cielo,
sospeso sulle tue stagioni, Stella dell'Aurora che viene,
Ora bramo ogni raggio della tua superficie,
desidero che la tua luce lontana abbacinante mi tolga la vista,
voglio il calore interiore della tua vita sulla mia fredda pelle,
ancora una volta, per una sola volta, senza che Sirio ci rimpianga, seguimi nella mia dimora,
lì staremo assieme, Stella vicina al Sole,
Seguimi, stella che sei appena sorta in me,
lungo questo sentiero di cacciatore
sul clivio della montagna, che sale alla lunae sale oltre verso le vette
sulle quali seduti assieme vedremo Sirio.

venerdì 19 giugno 2009

I DUE LAGHI

Una canzone ballata probabilmente scritta da un Alieno, nota per il tema affrontato: la Battaglia dei Due Laghi, avvenuta in Francia nel 1988 sulle Alpi al confine Italiano.Il nostro ‘Poeta’ si chiama HUDO di HOQQOLL (leggi Ocòol)

Esseri in torri opalescenti
Raccolti in armi d’avorio
Di epoche insondabili
Attaccheranno a fuochi spenti
Mentre l’alba si attarda sul monte
E l’avamposto rimane oscuro

Viene giù la valanga bianca
Con i lunghi rostri di denti
Si raggruma in file compatte
Per marciare verso il nostro campo.
Sosterremo il colpo finale
Affogati in nuvole avvelenate

Sarà tremendo l’impatto con la bianca valanga
E terribile la nebbia sarà rossa di morte e fuoco
Mentre intorno canta l’erba un inno roco
È la nostra ultima battaglia, fratelli, tenete i ranghi
Serrate il vostro coraggio a schiera, arriveranno
Da lontano e su noi s’abbatteranno come una valanga.

martedì 16 giugno 2009

NYPOQYAS

Nypoqyas

U
n innaturale quanto oscuro senso di stanchezza morde ogni muscolo del corpo, avvillupando le emozioni in un limbo interiore di colpa: è la scia spettrale lasciata dall’incontro con i Nypoqyas.
Creature che gremiscono gli abissi di questo mondo, concepite dagli umani per custodire i loro più remoti saperi e i loro enigmi senza tempo.
Ombre che provengono da gelide steppe nel cuore sterminato del pianeta Terra, esseri del tutto sconosciuti prima.
Io sono Geiko, all’epoca di quanto sto narrando, ero solo un guerriero siriano bambino, e il mio nome era ancora Kelleb.

Dei Nypoqyas non avevo alcuna nozione, nessuno fra gli adulti e gli educatori del mio Clan e nella Caserma mi raccontò su questi esseri.
Per quanto riguarda gli abitanti della Terra, gli umani, non ebbi modo, prima di allora, di allontanarmi dalla Caserma e il mio Clan non ebbe alleati di questa specie.
Per me e i miei coetanei, i terrestri erano solo i nemici da combattere in un mondo da conquistare.

E il mondo da conquistare era quel ‘tutto’ che circondava le mura di cinta della caserma.
Le terre a noi assolutamente proibite, sogno spasmodico dei nostri giochi, e meta irresistibile della nostra infantile curiosità.
Le sentinelle ci controllavano con premura, specie nei giorni in cui i nostri soldati avanzavano in campo nemico per azioni di guerra.
Allora, infatti, era altissimo il rischio di attacchi umani alle nostre caserme. Così, chiusi in quelle mura, ci sentivamo un prigionieri di due mondi in guerra. I nostri respiri di libertà arrivavano oltre le barriere imposte dalle sentinelle, volevamo vedere, capire…

Perché ci proibivano di guardare quel mondo oltre il muro? Cosa c’era di tanto malefico e malsano da metterci in pericolo? La guerra… sì, è vero, infuriava.
Gli umani ci avrebbero forse ammazzati senza pietà. Ma questo non frenava il nostro desiderio di scavalcare quel muro.

Io sono nato assieme ad altri Lacerta in Caserma, nello stesso momento, e nella medesima incubatrice, poiché le nostre madri, essendo gravemente colpite dalla guerra contro gli umani e indebolite, non avevano la forza necessaria per portare avanti l’incubazione naturale.

Eravamo sempre in quattro, noi, con Qhemm, Shanymm, Domep, alcuni ci chiamavano ‘I Quattro di Marte’ perché alla nostra schiusa Marte era ben visibile a occhio nudo nel cielo terrestre.
Evento rarissimo.
Un giorno però l’occasione accadde.
Il Muro rimase sguarnito per un pochi secondi.
Tanto bastò per porre in essere la nostra avventura. Domep guidò la sortita. Scavalcammo subito la cinta, e ci trovammo in un canalone secco, che pareva inoltrarsi verso una città.
Shannymm, la femmina, ebbe un po’ di paura all’inizio, quel panorama tanto vasto la intimorì, ma poi si fece coraggio e riprese a camminare.
- Ma è vero che gli umani sono alti tre metri? – fece Qhemm.
- Non dire sciocchezze! – risposi, come un vero studioso di antropologia. – Gli umani sono alti più o meno come noi siriani, ma hanno i peli sulla testa, perché sono mammiferi!
- Mammiferi?? Non ne ho mai visti, i topi sono mammiferi…Ma quelli li mangiamo, mica ci fanno la guerra! – replicò Shannym.
- Anche gli umani sono mammiferi… - troncò la discussione Domep.
- I mammiferi sono la specie dominante sulla Terra. – concluse. – Ora zitti, altrimenti le sentinelle ci scoprono!

Ci incamminammo lungo il sentiero che pareva allungarsi in modo infinito verso il villaggio umano.
Le ombre di un tramonto inconsueto, non filtrato dai drappi rossi dei nostri soldati, ci accoglieva nel suo smisurato orgoglio di libertà.

Sapevamo del pericolo rappresentato dagli umani, ma questo, anziché farci desistere, ci sosteneva, facendoci somigliare ad antichi eroi siriani, partiti un giorno attraverso il gelido cosmo, per salvare il proprio popolo, e giunti sino al confine dei raggi stellari noti.
Questo volevamo vivere forse: un’avventura epica, una sorta di viaggio iniziatico attraverso quel mondo proibito.

Il sentiero ci portò lungo una fitta foresta, abbandonato il canalone di cemento fummo infatti introdotti in un bosco oscuro e intricato.
- Diavoli! – fece Domep. – Non avevo mai visto tanta vegetazione!
- Sembra di essere nel Libro della Giungla!! – aggiunsi.
- Non mi sorprenderei di incontrare Baghera…- replicò Shannym.
- Vi ricordate Jumanji? – .
- Il film con Robin Williams? Sì, lo ricordo bene, Qhemm – risposi.
- Ricordi anche quello strano suono di tamburi vero?
- I tamburi, sì, come no! – rise Shannym.
- Allora non vi sembrano simili questi rumori?- continuò Qhemm
- Che cosa dici? Di quali rumori parli? – feci.
- Ascoltate! Possibile che non sentite?
- Silenzio! – comandò Domep.
In lontananza cominciammo a percepire rumori sotterranei, oscuri.

Sembravano effettivamente dei battiti ritmati nel profondo di qualche antro ipogeo.
- Lì, li sento venire da lì! –
Qhemm indicò un luogo oltre quell’intrico di arbusti e piante.
Tendemmo tutti i nostri sensi per captare quelle vibrazioni.
I nostri volti erano scossi da fremiti oscuri, di tonalità bassissime, che ci entravano nella mente attraverso i loro movimenti nell’aria.
Ma decifrarli ci era davvero impossibile.
Non somigliavano a voci umane, né ad altri versi di animali terrestri. Domep alzò il mento, per saggiare ancora più sottilmente l’aria, alla ricerca di vibrazioni ‘calde’ tipiche dei mammiferi.
Ma nulla. Silenzio.
Ancora soli con quel ritmo profondo.
Spesso durante la notte uscivamo nel parco della Caserma, per andarcene a caccia, erano battute infantili, quasi senza neppure lo scopo della caccia.

Ci piaceva pianificare la battuta, come un gioco da tavola: disegnavamo il giardino e poi cercavamo di mettere in pratica quanto ci eravamo prefissati.

Le nostre prede variavano dai ratti del magazzino, sino a qualche coniglio selvatico del campo, o un gatto, mai animali più grossi.
Le nostre mani erano ancora poco robuste e non avrebbero di certo potuto trattenere un umano!
Ora però avevamo paura che la nostra caccia di avventure ci avesse portati davanti a una preda troppo grande.
Ma con l’incoscienza di un’infanzia trascorsa nel mezzo di una guerra troppo orribile, decidemmo di raggiungere l’origine di quei cupi battiti.
Aprimmo tutti i nostri sensi alla percezione dell’aria. E seguendone ogni mutamento e ogni vibrazione, finalmente raggiungemmo un luogo in cui quel sinistro suono sembrava percuoterci più intensamente.
- Una grotta! – feci, entusiasta.
- Bella! Guardate come scende in profondità! – fece Qhemm.
- Chissà quant’è profonda, effettivamente…- si chiese Shannym.
- Buttiamoci un sasso e ascoltiamo il tonfo. – suggerì Domep.

Così facemmo. Gettammo in quell’abisso una pietra piuttosto pesante. Dopo alcuni secondi sentimmo un tonfo nell’acqua.
- Acqua? C’è un lago sotto? –
Ero eccitatissimo, come può esserlo un bambino guardando l’ignoto davanti a se, sotto forma di una profonda gola nelle viscere della terra.
- Però è troppo alto, non possiamo calarci così! – feci.
Sentimmo gridare Qhemm dietro.
Ci voltammo: - Guardate, c’è un altro ingresso. Stavolta sembra percorribile…

In effetti vi era un’altra apertura nella roccia, più orizzontale, e praticabile per dei corpi alti neppure un metro e mezzo.
Ovviamente ci infilammo dentro. Il buio si rifletteva nei nostri occhi, e assieme ai mulinelli elettromagnetici della roccia ci regalava un panorama incredibile e meraviglioso. C’era un mondo dentro il mondo che andavamo a scoprire quella notte…

Le vibrazioni ora erano purissime e si poteva percepire un chiarore irreale nella nostra mente, i piccoli corpi dei pipistrelli erano perfettamente riconoscibili nel loro infimo pulsare.
Ci trovavamo in un altro mondo, con sensazioni e percezioni mai provate prima.
Anche fra noi era facilissimo connetterci attraverso quelle vie così perfette di magneti e elettricità sotterranee. Tanto che smettemmo per molto tempo di usare la voce per comunicarci ogni cosa.

C’erano dei piccoli animaletti bianchi simili a salamandre in quei laghi cristallini. Ne facemmo una scorpacciata: avevano un sapore misto di mare, roccia e funghi. L’acqua non era assolutamente fredda. Forse una corrente sotterranea di gas la scaldava… Nuotammo. Cacciare in acqua era una delle attività più intensamente desiderate da noi, ma non potevamo quasi mai esaudirla.

Le sentinelle non ci portavano spesso al lago del parco: troppo lontano dalla Caserma, un luogo poco riparato e insicuro.
Finalmente potemmo scaricare la voglia di spingere l’acqua con i nostri platagi interstiziali delle dita, questo ci faceva sembrare di essere ancora quei grandi signori del mondo che un tempo dominavano sulla Terra e su Sirio.
I Draghi.
Ma poi il suono riprese.
E fu molto più intenso.
Qhemm balzò fuori dall’acqua.
- Sentite? –
Tutti avevamo ora percepito la ripresa di quel tetro battito.
Eravamo spasmodicamente attratti da quel suono. E ci inoltrammo ancora oltre nella grotta.

Finalmente dopo un bel pezzo di cammino, quasi strisciando, giungemmo in una sala enorme, dalla volta di roccia perfettamente liscia. Non sembrava qualcosa di naturale…

Lì il battito divenne quasi una musica complessa, una melodia lontana, irriproducibile…
C’era qualcosa disegnato sulle pareti di quell’enigmatico luogo sotterraneo.
Sembrava a prima vista una cartina geografica, schizzata di fretta, in modo piuttosto infantile, come quelle mappe che vendono assieme a certi romanzi fantasy. Era un pittura enorme… impressionante.

Adornava tutta la sala, avvolgendo l’intera realtà di quel posto.
Poi riuscimmo a leggere delle scritte. La cosa più strana era che le leggemmo in Siriano, nella lingua del nostro mondo natale:

<>

Poi di lontano, muovendosi come un gatto di notte, notiamo un’ombra.
Una figura antropomorfa, alta, sinuosa, che si staccava quasi dalla tenebra prendendo vita.
Ci venne incontro. Ora era davanti a noi.
Notammo perfettamente il viso adunco, dai lineamenti ossuti e triangolare.
La pelle diafana, tanto da sembrare trasparente faceva notare l’architettura del tessuto venoso.

Indossava una strana veste lunga, dorata, leggera come la carta velina.
Fu Domep che parlò per primo fra noi:
- Noi siamo soldati di Sua Maestà. Voi, signore, chi siete?
La figura era più vicina agli umani che a un siriano, la pelle liscia e morbida, senza squame, faceva pensare che fosse uno strano tipo di mammifero.
- Bene, soldati…bene. Sapete che questo posto è proibito? – disse con una voce
simile a un lamento tremendo.
- Oltre non potete andare, questo è il regno dei maghi che non sono ancora morti, e i maghi lo sorvegliano. – continuò.
- I Maghi? Siete un Mago, signore? – dissi, con lo stupore di un bambino colto di sorpresa da un mago.

- Sì, mio caro soldatino reale… E noi maghi non amiamo gli ospiti. Specie se questi non sono stati invitati. –
- Che ci volete fare, adesso? Voi siete solo uno, noi quattro e per di più siamo combattenti siriani! – fece Domep con orgoglio sfrenato, e un’incoscienza infantile altrettanto ambiziosa.
- Uh… combattenti siriani… sì, immagino, moolto feroci…davvero.
Tutt’attorno l’ombra delle tenebre prese ad animarsi e altri figure simili si staccarono dal buio.
In poco tempo ci trovammo circondati da quelle evanescenti creature.
- Noi siamo il popolo dei Nypoqyas, custodi e osservatori del tempo che scorre in questo mondo… Non aspettavamo ‘soldati’ siriani. Voi avete varcato i nostri confini interdetti dell’abisso temporale.
Se vi abbiamo offesi, chiediamo scusa, e se non vi stanno bene le nostre scuse, dovrete vedervela con me. – fece Domep assumendo un’aria da Grande Condottiero.

- Oh, no, non vogliamo combattervi, ‘signori’… al contrario. Vi faremo un regalo.
Ora uscirete dal nostro regno portando con voi qualcosa che ci appartiene. Dovrete consegnarlo a chi comanda dei vostri ‘veri’ soldati.
Presto noi sapremo se siete stati in grado di portare a termine il vostro compito oppure ve la siete svignata, in preda alla paura della punizione, dopo una così grave bravata…
- Svignarcela?? Ma per chi ci ha presi??? – mi alterai. – Dateci quello che ci dovete dare, e noi riferiremo al nostro Comando! – feci, con il piglio di un vero ufficiale.

Il Nypoq ci tese una specie di quaderno sottile, dai fogli di una sottigliezza incredibile, e fatti con una carta mai vista prima: morbida come pelle, e sottilissima.

Tornammo indietro. In realtà la nostra paura che il Comandante ci potesse punire severamente per la nostra ‘evasione’ aleggiava feroce, ma avevamo dato la nostra parola di Soldati di Sua Maestà, e non potevamo disattenderla.

Era una questione di Onore, come si fa tra i guerrieri adulti.
Infatti il Comandante si adirò moltissimo, ci rinchiuse per tre giorni nella nostra camera comune, e non ci fece toccare bibite dolci né altre squisitezze, solo lombrichi viscidi e amari da trangugiare.
Però poi tornò sulle sue decisione.
Entrò con noi nella stanzetta e assieme a noi si sedette sull’unico grande letto.
Aveva un’aria rattristata, pesante, ci carezzò la nuca uno ad uno.
Poi parlò: - Di certo ne avrete avuta molta di paura…ma siete stati capaci di affrontare un simile pericolo a testa alta…bravi. - - Siamo soldati! – fece Domep- Il Comandante sorrise.
Mio Signore, ma cos’era quella cosa che ti abbiamo consegnato? – chiesi, curioso. Lui mi guardò e sospirando disse:

- E’ meglio che queste cose i bambini non debbano venire a saperle. Ma ormai vi ci siete trovati in mezzo, piccoli. Ci sono luoghi nell’Universo che i vermi scavano nei secoli più oscuri, tunnel che collegano mondi ed epoche lontane, che non andrebbero mai rivelati. Questi cunicoli è meglio per tutti che non vengano mai in superficie. E che siano per sempre sepolti nella dimenticanza.
- Quel quaderno…era strano! – fece Shannym.
- Sì. Sono morti degli umani per quel quaderno, infatti. Ma è una cosa troppo brutta per spiegarla adesso. Ora siete liberi dalla mia inutile e stupida punizione. La vostra condanna è già stata scritta…mi dispiace, ragazzi.

Anni dopo capimmo. I Nypoqyas sono come infezioni virulente.
Devastano la memoria di chi li incontra.
Il nostro dolore era ormai diventata una costante.
In quel quaderno, dalle pagine in pelle umana, era vergato l’anatema di potenti stregoni, contro le truppe Siriane e coloro che avrebbero tentato di accedere alle caverne interdette.
Noi quattro ricordavamo atroci morti, guerre perse in un tempo arcaico, abominevoli abissi, e mostruosi monarchi… perché? Ancora oggi me lo chiedo.

I GIORNI DEL SAURO 2

I Viaggiatori sono sgomenti, atterriti. La cupola che in lontananza rifletteva una luce blu intenso ora era divenuta un’enorme volta celeste, nella quale si potevano scorgere confini di continenti e oceani immensi, così grandi da sembrare irreali.
L’emozione si fa ansia crescente fra l’Equipaggio, è duro rimanere impassibili innanzi a uno spettacolo tale! A bordo la generazione di Viaggiatori era stata erudita sulla vita di quel Pianeta, sulla sua peculiarità di possedere come specie dominante i Mammiferi, anziché i Rettili, e che questi avevano a disposizione un mondo dalle fiabesche distese oceaniche, dalle foreste degne di un'epoca perduta.

lunedì 15 giugno 2009

I GIORNI DEL SAURO 1

E’
un oscuro pianeta, forse Urano, che accoglie l’ultima fase del Grande Viaggio, la Nave, infatti, nei suoi pressi ha appena cominciato la terza fase di rallentamento programmato. Il cervello elettronico deputato alle fasi di velocità effettua una nuova analisi sulla rotta della Nave, e la mostruosa struttura circolare dal diametro di una città, frena la sua corsa nel vuoto, calibrando nuovamente la sua rotazione artificiale e la gravitazione interna.
A bordo, sul Ponte di Volo, vi sono pochi addetti, specialisti coltivati in seno alle Nave stessa, i migliori tecnici mai vissuti ora erano lì. Mentre il Comandante e i suoi due Ufficiali, siedono sulla console al centro del Ponte, osservando le analisi dei tecnici che scorrono sotto i suoi occhi, sul computer della postazione di Comando.
“Quanto?…” chiede ai tecnici il Comandante.
Uno di loro, si rivolge rispettoso, rispondendogli con una strana frase: “Mancano attualmente sei ore, Signore”
“Ore…” pensa il Capo della Nave, come se qualcosa stonasse in quelle parole.
“E’ difficile conteggiare il tempo così, vero Signore?” gli fa cortesemente l’Ufficiale più giovane del Comando.
Il Capitano della Nave si leva dalla sua postazione, indossa la tuta rossa, calzari neri che coprono la gamba sino alle ginocchia, simili a stivali, e porta sul cuore l’Emblema del suo Mondo. Così sono vestiti tutti i membri del suo equipaggio e dalla Flotta che segue la sua Nave, Cinquanta altre straordinarie Navi dalle dimensioni smisurate.
L’Emblema nero che campeggia fiero sul campo rosso della divisa è il simbolo del profondo vincolo che al Trono dei Troni lega ogni persona a bordo di quelle strutture incredibili. Il Capo Supremo di tutti i viventi di Sirio si perpetua in ogni Viaggiatore attraverso quel segno così enigmatico e oscuro. Molti dicono che è il loro segno di Amore verso il Mondo natale, verso tutto quello che i loro genitori hanno lasciato dietro, penetrando nell’infinito.

I SIGNORI DEL SILENZIO
Ankòran è un Lacerta di mezza età, dall’aspetto gradevole ma forte e deciso. Passeggia sui Ponti della Nave, poiché non è necessario che stia al centro del Ponte di Volo, è l’Ammiraglio, e comanda sui Capitani delle Navi. Ma ora deve preparare la sua anima, il suo corpo e la sua mente al futuro immediato.
1
Da ora le sue scelte determineranno in modo inevitabile la vita e la morte dei membri della Flotta. Il discorso che uscirà fra non molto tempo dalla sua bocca cambierà la storia di due mondi. Tutte le parole che dirà sono state misurate, calibrate e modellate dalla Corte del Re dei Re. Il sovrano stesso ha concepito quelle frasi, è impossibile che qualcosa venga lasciato al caso.
L
e creature che ascolteranno il messaggio dell’Ammiraglio prenderanno delle decisioni in base a quelle parole. E se qualcosa andasse oltre il pensiero del Capo dei Capi tutto potrebbe franare addosso alla Missione.
E’ difficile fare delle previsioni in questo momento. La squadra di analisti del Leader ha parlato di termini molto lunghi di tempo, ma nessuno sa effettivamente come reagiranno le creature…
Ci sono volute generazioni di Siriani capaci di imparare quell’intreccio di lingue così remote alla loro conformazione fisiologica, migliaia di spedizioni su quel pianeta che tra pochissimo incontreranno, con sonde spia, e intercettazioni nello spazio delle loro voci. Sono esseri oscuri, caldi, hanno una voce monocorde, e dicono siano mammiferi. Ankòran sta riflettendo sul futuro, quando i suoi soldati incontreranno queste creature.
Le ultime comunicazioni con i superiori sono state per lui piuttosto drammatiche, tutto è avvolto nel più assoluto mistero, l’unica certezza è la Missione.

U
n suo ufficiale, giovane, un Capitano, ha lavorato per lui traducendo le intercettazioni che man mano divenivano sempre più forti con l’approssimarsi del sistema solare. E la prima idea che si è fatto, è quella di dover parlare a un mondo estremamente frammentato, variopinto, in qualche modo violento e poco remissivo. Il Capitano gli ha detto della miriade di religioni che gli abitanti di quel mondo possiedono, e di uno strano concetto di divisione territoriale del pianeta, chiamato Stato. E soprattutto gli studi dicono che queste creature sono tante!
Ankòran entra nella sala della serra.Si siede rilassandosi su una poltrona, osserva la luce emanata dalle pietre di un geoide, è una luce particolare, meditativa. Poi osserva l’Emblema, in alto sulla parete. E il vicino sigillo reale. Quanto gli rimarrà tra non molto di quel suo mondo?

mercoledì 10 giugno 2009

I DANNATI

I DANNATI

L’abbordaggio avvenne in modo tanto rapido quanto feroce. Nessuno degli occupanti del cargo scappò al suo orrendo destino.
Il Capitano Nerr comandava le truppe da sbarco, gli Assaltatori di Sua Maestà.
Stirpe di guerrieri incapaci di pronunciare la parola Pietà. Cinquanta soldati d’equipaggio, tanto basta al Triang OLPOM per spargere la sua semenza di morte e follia.
Un equipaggio OLPOM è di quanto più diabolico possa partorire il sistema di Sirio.
Nerr comandava il decimo equipaggio Olpom di Stniux, una rotta non troppo battuta dalle Astronavi Madri, ma terra di caccia per quella banda di assassini.
I soldati di Nerr, maschi e femmine, indossavano tute completamente nere, e avevano l’usanza di portare un fazzoletto cinto sul capo, nero e oro, con lunghi nodi che scendevano sino alle spalle. Spesso si dipingevano sul volto i sigilli reali. Chiunque li abbia mai incontrati non può dimenticarseli per il resto della vita.

Ma questa volta Nerr e i suoi andarono troppo oltre. Troppo oltre spinsero la loro insolenza e caddero in un tunnel oscuro.
Il cargo contro il quale rivolsero le armi, era un apparecchio Ghaak, motivo ulteriore per odiare i suoi naviganti. La Nave trasportava solo sementi vegetali, spighe di un nuovo grano alieno, duro e resistente. E il suo cuore era costituito da uno strano quanto enigmatico sarcofago di granito nero come la notte.
Cosa vi fosse dentro nessuno avrebbe mai potuto sospettarlo.
Non un Siriano. E tantomeno un Siriano dell’equipaggio di Nerr.
La prua affusolata del Triax puntò sulla carlinga del cargo Ghaak, ed estroflessi i rostri la agganciò, perforandola con una facilità straordinaria.
I rostri erano di Kentium, un metallo Siriano pressoché invulnerabile, la carlinga si aprì come un foglio di carta tagliato da un temperino.
I soldati entrarono facilmente e assaltarono subito le due principali torri di guardia.
Nerr penetrò alla bonifica dei ponti.
Gli Olpom uccisero tutti i membri dell’equipaggio con un furore indicibile, accecati dall’odio verso la gente Gaak.
Il sangue inondò tutto, riversandosi a rivi sulle scale di congiungimento dei ponti, nella plancia di controllo vi fu una mattanza infernale.

E fu poi che Nerr giunse nel cuore del cargo.
Il sarcofago troneggiava solitario ed oscuro nel mezzo della grande sala spoglia, dalle pareti lisce come ghiaccio.

Nerr, l’invincibile eroe, che terrorizzò l’universo, temuto anche dai suoi superiori, al punto di lasciarlo comandare un’intera zona cosmica: Stniux, ora si trovava davanti a qualcosa che neppure la sua micidiale forza fisica avrebbe potuto sconfiggere. Di Nerr si raccontava che fosse il frutto di una passione proibita fra un comandante araman e un sacerdote di Shion, l’anatema degli antenati ramiani fu tale da imporgli un orrendo destino.
Queste voci, l’invidia per la sua incredibile forza fisica in guerra, la capacità di stratega, lo isolarono, rendendolo un feroce avversario delle Famiglie Siriane vicine al Casato di Araman. Ma anche i Maestri di Shion temevano questo individuo, dall’ira senza freni, che non conosceva la pietà in battaglia, che aveva in odio ogni legge scritta. Solo il suo equipaggio di reietti e di gente incapace di vivere senza combattere, gli rimase sempre fedele. Ora Nerr rimase solo davanti a quell’oscuro sarcofago di granito nero.

Vi si avvicinò, scorgendovi all’interno delle parole incise in modo perfettamente leggibile nella pietra granitica: erano parole in un linguaggio antico siriano, che Nerr conosceva, essendo un dialetto ancora parlato nella Regione ove nacque.

Anche la lingua di Nerr aveva un sapore sacrilego, essendo l’ultimo dei Linguaggi Neri degli Scuati, antichi guerrieri sciamani aborriti da tutte le Scuole di Shion e dimenticati dai Patriarchi di Raman.
Nerr lesse, fra lo stupore dei suoi soldati, che non sapevano parlare quella lingua infernale.

Un soldato gli si fece vicino e gli chiese cosa volesse dire quella frase così senza senso.
Nerr: - Un senso ce lo ha, in Siriano suona in questo modo: <>

Per un attimo nella mente di Nerr si configurò una costellazione remota, dimenticata, i cui nomi di stelle vennero rimossi dalla memoria collettiva del popolo siriano, e solo la tremenda sorte del guerriero permise di recare in eterno l’ultima narrazione di quegli eventi su mondi perduti.
Fu l’odio profondo verso se stesso, l’inganno nel quale cadde, quando decise di uccidere i Maestri soniani, e allontanandosi per sempre anche da Araman, perse la via della sua specie e prese a vagare nell’eterna tenebra dell’odio.

Fu ramingo nel regno dell’assassinio e dell’ingiustizia, e ora che ne era diventato un re, il suo gesto fu ancora più blasfemo.
In preda al furore fece inginocchiare il Custode del sarcofago.
Lo spogliò della sua armatura, e per oltraggio supremo abbattè la sua spada, Antiaka, in grado di spezzare anche il metallo più resistente sul suo collo.

La testa del Custode rotolò sino a sbattere sul sarcofago. In quell’esatto momento nel silenzio ghiacciato dei soldati presenti, raggi della luminescenza opale come la morte, scaturirono dal granito, e inondarono Nerr, assieme al suo equipaggio.
Accecato dall’odio per l’affronto Nerr, fece distruggere quel luogo, ordinando ai suoi di spregiare in tutti modi più turpi il cuore di quel cargo. E così fu fatto.

L’ira del Comandante era pari solo alla sua crudele fantasia, e riuscì a violare in un modo così odioso quel luogo da essere addirittura nauseabondo per alcuni suoi soldati.

Al contempo, mentre si stavano originando quelle azioni così abominevoli sul Cargo, a bordo di un’Astronave Madre, comandata da Komudux, del Casato di Araman, si verificarono alcune anomalie tecniche.
Fu Gheppo, della gente di on, ad avvertire Komudux. I due si rispettavano, anche se le casate erano fiere avversarie. Nessuno avrebbe discusso sulle capacità dell’altro. Komudux e Gheppo navigavano sulla Haitan 201, un’Astronave superba, innovativa, immensa, lungo la rotta bonificata proprio dal Triax Olpom di Stniux, la Nave di Nerr.

Fu esattamente allora che quelle anomalie divennero tali da dover arrestare alcune operazioni nei reattori dell’Antimateria. Gheppo avvertì Komudux che i motori avrebbero sofferto troppo se non fosse stata subito analizzata e riparata l’anomalia.

Ma mentre l’Ufficiale Ingengnere stava elucubrando sui sistemi in avaria, Lethijnn, addetta alle comunicazioni navali, riportò affannosamente al suo Comandante un messaggio giunto in quell’istante.
- Massima Urgenza. Codice Rosso da un Triang. Signore… Stanno in deriva! –
- Calmati, dimmi esattamente dov’è e quale Nave è in pericolo.-
- Triang Olpom Stniux, Comandante…-
Silenzio.
Gelo.
A lei, una piccola ragazza appena nominata al suo incarico, parve di bestemmiare, pronunciando quelle ultime parole davanti al suo capo.
- Sì… sei sicura, Lethijnn?- - Certo, signore, ho controllato tre volte! –
- E’ un Codice Rosso, allora muoviamoci, attiva tutti i protocolli del caso. –
Così fece, inoltrò il messaggio appena ricevuto a tutte le altre Navi nei paraggi, mentre una squadra si preparò per agganciare il Triang in difficoltà.
Ma al sentire nominare l’equipaggio in pericolo, gli operatori ebbero moti di incredulità. – Su, forza, non si tratta mica di orchi cattivi, no? E voi che cosa siete: bimbi dell’asilo o soldati?- disse il capitano della Squadra di Soccorso, esortando alla fretta i suoi soldati.

Orchi… chissà a cosa stessero pensando i giovanissimi operatori della Squadra…

Il Triang fu finalmente in vista, e cominciarono le operazioni di avvicinamento.
Intanto l’anomalia dei reattori non era ancora stata individuata in modo preciso.
Gheppo lavorava intensamente da ore, oramai, ma la causa di quel difetto non venne ancora scoperta.

A un certo punto, Gheppo sobbalzò, scattando all’indietro. Rimase per un istante immobile.
Incredulo ascoltò delle flessioni nelle prove acustiche dei suoi strumenti di controllo.
Sembravano dapprima fischi di vento insensati, poi si configurarono suoni più delineati in quelle che sembravano echi di parole sconnesse.
Quindi quell’eco si delineò in parole sempre più nette e si udì, come in una vecchissima frequenza radio: <>. Gheppo inorridì.

Non capiva i Linguaggi Neri degli Sciuati, ma la Gente di Shion ricordava bene le inclinazioni delle loro parole.
Possibile? Cosa andava fantasticando? Lui, un Ingegnere! Frequenze radio nello spazio più profondo, nei pressi delle Zone Nere, dove neppure giunge la luce! La cosa gli parve tanto impossibile quanto orrenda.

Cercò di riascoltare in modo più asettico quelle sfumature di onde radio.
Nulla, erano esattamente le stesse parole che avevano vibrato in modo così chiaro poco prima!
D’improvviso entrò nella sala dei computers – reattori un giovane tenente, accompagnato da un anziano ed esperto sergente. – Tutto bene qui? – disse, affannosamente, come se avesse dovuto correre per raggiungere Gheppo.
Il sergente aveva la pistola sfoderata.
Gheppo rimase perplesso: - Io?…io, sì…ehi, che vi prende?- Il sergente scosse il volto: - Ma che stava facendo? Abbiamo udito voci quaggiù. E secondo il mio ruolino dovrebbe esserci soltanto lei, Capitano, qui dentro! E’ una zona interdetta al resto dell’equipaggio!
- Signori…io quaggiù sono solo! –
- Impossibile!!- fece il Tenente - i nostri strumenti indicano almeno nove persone!! –

Poi quelle voci provenienti da quelle oscure frequenze ripresero.
Gli strumenti delle due Guardie di Sicurezza impazzirono. Sembrava infatti di essere attorniati da una decina di persone!
- Io non capisco, qui non c’è nessuno! – disse il Sergente.
- Infatti… - fece Gheppo. Ma sentite anche voi queste voci? –
- Chiaramente, Capitano! – rispose l’Ufficiale.
- Impossibile! Avete fatto funzionare una radio in questa zona dello Spazio? – chiese incredulo il Sergente.
- E’ assurdo, singori… - fece Gheppo.

L’ansia cresceva, mentre crescevano le voci dal nulla. – Ma voi riuscite a capire cosa dicono? – chiese.
– No, no, Capitano, non capisco una parola! Ma che diavolo di lingua parlano? – fece il Sergente.
Non ci volle molto per sapere che anche il resto dell’Astronave sentiva quella strana frequenza radio, spandersi fra i corridoi, i ponti, e gli hangar…

Il Comandante chiamò subito gli esperti, ma non giunsero ad alcuna conclusione, mentre gli strumenti rivelarono che a bordo erano presenti oltre all’equipaggio almeno un altro centinaio di persone…Impossibile! Ci furono ricerche ovunque e condotte con tutti i mezzi, ma nessun’altra persona saltò fuori oltre i membri dell’equipaggio.
Intanto giunse un messaggio dalla Squadra di Soccorso: aveva raggiunto il Triang, e si apprestava a entrarvi.
L’abbordaggio venne effettuato senza problemi.
I soldati scesero sul Ponte, e si misero all’opera. Portarono le barelle, le borse mediche e si misero a cercare gli abitanti del Triang.
Nulla. Silenzio.
Chiamarono.
Nessuna risposta.
Buio ovunque, freddo.
Reattori al limite minimo della tensione.
Continuarono a cercare.
Poi un chiarore giallastro li attirò in fondo a un tunnel verso una delle sale di armamento. Lì, davanti ad uno spettacolo infernale, il Sergente arrestò i suoi soldati. Corpi dell’equipaggio Olpom distrutti, macellati in assurda atrocità, sparsi ovunque sulle pareti, sul pavimento, addirittura smembrati nelle turbine di lancio… Non c’era nessun sopravvissuto a quella carneficina. Ma cos’era accaduto? Poi il Sergente osservò ancora la sua guida con i nomi e i numeri dell’equipaggio: dopo un’irreale e oscena conta di quelli che sarebbero dovuti essere corpi ricomposti, ne mancava uno all’appello: il Capitano Nerr .

I soldati lo cercarono ovunque.
Ma nulla. Sino al momento in cui uno di loro avvertì un vento gelido provenire da un altro ponte, il Pontile di Controllo.
Lui era lì, seduto alla poltrona di comando. Immobile. I suoi occhi erano bianchi.
Il volto grigio, e senza espressione.
Ma chi…cos’era, si chiesero i soccorritori. Fu Nerr a parlare, e disse: <>
Nessuno lo capì.
Quando il Sergente gli si fece vicino per aiutarlo, lui ringhiò in modo spaventoso, e parlò ancora:- Questo è un luogo di morti e un morto li sorveglia.- .
- cosa…cosa vuole dire, signore? – fece incredulo il Sergente.
Nerr era infatti perito nella carneficina assieme ai suoi. Probabilmente vi fu un contrattacco dei Ghaak che si vendicarono di quella profanazione.

Ma rimane il corpo di Nerr sulla poltrona di comando. I soldati che l’hanno chiaramente udito mentre disse quelle parole al Sergente. Cosa fosse effettivamente accaduto non è mai stato provato. L’anomalia sull’Astronave Madre scomparve e il Triang venne fatto implodere, perché troppo danneggiato.
Gli strumenti però non tacquero. Quelle presenze ancora si percepiscono. Ad oggi, anche noi, seconda generazione a bordo, possiamo udire quelle oscure frequenze radio, ogni tanto, fra i tunnel. Che Nerr fosse stato maledetto in un inferno eterno di non morte con i suoi soldati? Il mio Casato, la gente di Raman, non proferì mai una spiegazine, né i Maestri di Shion lo fecero.
Se ascolti le parole nel Linguaggio Nero degli Sciuati rabbrividisci, perché senti dentro di te che provengono dall’abisso dissepolto con l’indecenza dell’odio di Nerr e dei suoi.
E se percepisci quelle ombre avvicinarsi, avverti un ghiaccio interiore, quasi dovesse morire il tuo spirito. Ma se ascolti, nella Zona Nera una radio, sappi solo che lì non possono esserci frequenze radio, e che sono i soldati dannati di Nerr.

STIRPE RETTILIANA: Rivelazioni Pericolose ( David Icke )

STIRPE RETTILIANA: Rivelazioni Pericolose ( David Icke )
Video inviato da menphis75

Mentre conducevo ricerche per questo libro mi venne presentata Christine Fitzgerald, una brillante e assai dotata guaritrice, che fu amica intima e confidente di Lady Diana per nove anni. Data la famigliarità che Christine aveva con le materie esoteriche, Diana riusciva a parlare con lei di cose che non avrebbe avuto il coraggio di rivelare a nessun altro per paura di essere bollata come una pazza. (altro)

Stirpe Rettiliana

Stirpe Rettiliana
Video inviato da menphis75

La prova inequivocabile della presenza rettiliana nel nostro mondo e nelle alte cariche istituzionali. Nei veda quelli che noi chiamiamo rettiliani, altro non sono che i Raksasa. Angeli caduti (demoni) che possono sia mutare la forma, sia impossessarsi dei corpi.
Le tentazioni di Padre Pio vi ricordano qualcosa?!? A voi la sentenza..

Cos'è STAIGHAI...?

Uno Staigh è un clan di esseri alieni che vive nell'illegalità delle tenebre, nel sottosuolo delle grandi città umane terrestri. Vive e muore secondo un oscuro sistema di leggi e riti noti solo a loro, ma pericolosi tanto da mettere in discussione l'Ordime Mondiale o Nuovo Ordine del Mondo degli umani. Poichè l'Ordine Mondialeè sorto sulle basi di uno scellerato patto umano - alieno, questi clandestini si trovano a vivere contro ogni codice, sia sulla terra quanto sul loro pianeta. Un tempo vennero sul mondo umano per combattere e conpuistare il pianeta, poi avvenne il patto e loro si ritrovarono come una 'zavorra' scomoda per i loro stessi capi. Cacciati dal loro mondo perchè reduci pericolosi, interrati dalla memoria umana come criminali di guerra, ora i generali alieni si sono strutturati dei loro regni sotterranei, chiamati gli Staigh, o Staighài nella lingua degli alieni guerrieri, pronti a combattere e a difendere sino all'ultimo soldato la loro nuova e misteriosa esistenza, contro un sistema nato non col combattimento, ma dall'inganno...

Ci sono più cose fra il Cielo e la Terra....

Mozart, Wolfgang Amadeus - Requiem in D minor K 626 - Sequentia. Dies
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I GIORNI DEL SAURO

...Il Diario di Anhyan, e la vita di un equipaggio alieno a bordo di un'Astronave mentre percorre il suo lungo viaggio, verrà pubblicato settimanalmente sul blog....
.....seguiteci nell'abisso delle infinità cosmiche....

...Orazio, di quanto ne sogni la tua filosofia

21. Pilgrims Chorus from Tannhauser (Wagner)
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Bach, Johann Sebastian - Agnus Dei
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LA TRIBU'

Secondo fonti sirianidi, l'organizzazione sociale nella protostoria dei Lacerta, vedeva una compagine simile a quanto si descrive nell'articolo che segue.

E’ la base dell’organizzazione sociale. Questo genere di struttura era preesistente all’avvento del potere di Araman, sia pure con modi, governi e persone molto differenti, la Tribù regolava sia la vita della casata di Shuoon, sia quella della casata di Araman.
Anticamente le Tribù seguivano una sorta di classificazione in base ai loro capi. Vi erano Tribù Sciamaniche, Tribù Guerriere, Tribù Venatorie, Tribù Agricole.
Queste ultime erano tipicamente associate a Shuoon, essendone il nucleo familiare primigenio. Non sussistevano difatti simili famiglie all’interno della Casa di Araman.

Le Tribù Agricole servivano la causa di sfamare il fabbisogno mondiale di cereali e vegetali, in mancanza della carne disponibile per tutti.
Successivamente con la presa del potere totale del Sovrano Intertribale, tali famiglie vennero relegate ai bassi ranghi della piramide politica e tanto che nelle Unioni Tribali i loro capi non hanno potere decisionale.

Il loro è quindi ad oggi un sistema tribale a Stato Passivo. I nobili non hanno cariche pubbliche né rivestono alcuna autorità religiosa. E i magazzini sono gestiti da elementi esterni alle famiglie.
Oggi il sistema della Tribù è rigidamente schematizzato, e non è suscettibile di ammodernamenti. Una Tribù è costituita da almeno venti Famiglie o Gente: I Potentati. Una Famiglia è a sua volta formata da un numero non determinabile di Clan. Se i Clan sono molto numerosi, almeno più di un centinaio, la Famiglia si chiama Gente.

LA NOBILTA' TRIBALE RETTILIANA

LA NOBILTA’ TRIBALE RETTILIANA secondo la classificazione dell'Era del Disarmo: le fonti sulla struttura sociale dei Lacerta note, provengono quasi esclusivamente dalla sezione archivistica Sirianide. Non è quindi certo come vensse intesa la vita sociale nei Lacerta prima dell'avvento Sirianide nel suo mondo.

Come si suddividono le gerarchie e i ruoli all’interno della società tribale rettiliana? Abbiamo potuto osservare la compagine generale della società di Lacerta L., ma adesso ci addentriamo nei ruoli veri e propri e nella nobiltà diretta ( sangue) e indiretta ( merito) delle cariche al vertice di una Tribù.

Prendiamo per ora le Tribù Reali.

A capo della Tribù Reale vi è un Patriarca \ Rettore, che possiede un titolo diretto ( di sangue) e quindi può essere un Patriarca di Granducato o di Priorato.
Le massime cariche di cui può essere investito un Patriarca sono infatti il titoli di GRANDUCA o di PRIORE.
Il Granduca proviene dalla casta guerriera, come il Duca, si dice infatti che siano nobili ‘Capi d’Arme’, ovvero la loro regalità discende direttamente dalla Casa Reale, nella guerra primigenia contro i Potechi.
Il Priore è al di sopra del Granduca come pregio di titolo, si avvale del titolo un po’ desueto, di Priorduca.
Il Ducato Reale è la terra occupata dalla Tribù di un Granduca o di un Priore. E’ il massimo appellativo per indicare il grado al vertice della gerarchia familiare delle Lacerta L., oltre il Ducato Reale, vi è la Casa Reale, ovvero il Regno.

Il Granduca può gestire un Granducato e un Priore un Priorato, si sale al Ducato reale, quando subentra un evento tale da far sì che il Re crei dal precedente lignaggio il grado ulteriore. Sono rarissimi i casi di creazione di Ducati Reali, attualmente abbiamo due soli Ducati Reali esistenti.

In una Tribù invece si hanno le cariche appena al di sotto del Granduca, in ordine di importanza elenchiamo le classi:

Duca
Conte
Proconsole
Libero \ Console.

Il Duca abbiamo detto è un Patriarca proveniente direttamente dalla casta guerriera. In pratica è un parente del Re, se osserviamo la sua genealogia, anche alla lontana troviamo origini comuni al sovrano.

Il Conte invece è un Patriarca della casta dei filosofi, non guerriera, probabilmente proveniente dalle Famiglie dei Filosofi Shuoniani dei deserti, il quale per merito si è conquistato la fiducia del Re. Un Conte e il suo Contado quindi spesso sono abitati da rettili non Amriani, non discendenti quindi direttamente dalla Casa Reale. I quali, però, hanno giurato lealtà al Sire. Duchi e Conti non sempre hanno stanno in un rapporto di rispettiva superiorità e inferiorità.
Ci sono casi in cui un Patriarca Conte sostenendo economicamente gli sforzi militari del Re, alla vittoria del Sovrano, riceva da questi il premio di essere Conte-Primo, ovvero è concesso, sia pure non per sangue, al Patriarca di porsi su piano superiore di Regalità ( ma non di Genealogia). Se il tempo passa, e all’interno della sua Tribù si intrecciano matrimoni mirati, il Contado può prendere la Regalità Ducale ( sempre per via materna) e passare al grado di Ducato. Il Conte diviene Duca anzi Arciduca, perché si suppone che provenga dal titolo di Conte-Primo.

E’ normale che un Arciduca sia sovente un Guerriero ‘acquisito’ alla casta, perché proviene dalla cessione di regalità del matrimonio.

Il Proconsole è un Patriarca proveniente dalla casta Guerriera come da quella Filosofica. Per meriti o per sangue domina una Tribù.

Il Libero è una figura inconcepibile per gli esseri umani. Infatti egli era dapprima solo un Suddito, Servitore di sua Maestà come ufficiale militare che ha ottenuto grandi successi, e quindi si è ‘liberato’ della sua condizione ‘borghese’ o addirittura della sua inferiorità plebea, ed è entrato a tutti gli effetti nella Genealogia Reale ( dapprima, come tutti i siriani, era nella Genealogia Tribale). Però non può sperare di essere inserito nei Matrimoni Reali e quindi di contribuire al sangue della Casa Reale.
Un Console è un rampollo della casta guerriera. Spesso ha ottenuto invidiabili successi militari, ha studiato come Ufficiale e ha fatto una lampante carriera. La sua linea di sangue è già nella Genealogia Reale, sin da quando è nata, appartenendo di fatto alla casta dominante, ma ancora non può effettuare Matrimoni Reali.



Introduzione alla Cronache delle Missioni

Introduzione a
“Le Cronache”



I
ritmi della gente a bordo di un’Astronave immersa nella spazio remoto, seguono un tempo diverso dal resto delle anime che affollano l’Universo conosciuto.
L’Astronave con la sua maestosa imponenza è un mondo in se, chiuso all’esterno freddo e pericoloso del cosmo.
All’interno della sua Carlinga bianco argentata vivono e nascono e muoiono persone che per tutta la loro esistenza navigano zone e spazi senza confini.
Non è facile andare a indagare la coscienza di questi esseri, il loro carattere ci sfugge il più delle volte, e la loro insita violenza nell’affrontare l’unica natura a loro conosciuta, quella siderale, ci fa riflettere sulla possibilità di essere loro amici.
I ritmi che scandiscono la vita di esseri all’interno di un’Astronave sono custoditi nei loro stessi racconti.
Sono i Racconti, chiamati Le Cronache, l’essenza di questo strano popolo di Rettili, viventi in una specie di corte chiusa, in un eterno inverno, chiusi dalle imponenti lamiere, protetti dall’esterno oscuro e gelido.
E il tempo scorre in questi racconti. Spesso animati da una tecnologia olografica di una limpidezza incredibile, spesso vissuti da chi li narra e li ascolta come in un Gioco di Ruolo. Non sappiamo molto su come si trasmettono le Cronache, forse appunto, vivendole in una realtà alternativa, virtuale, oppure in un gioco della Memoria collettiva di questo popolo.
Non sappiamo molto, ma quanto conosciamo sono queste pagine che fra non molto leggerete. Vi prego, pensate a coloro che l’hanno scritte, i sacrifici di un’esistenza così fredda, remota, impenetrabile…


LA ROSA DEI VENTI [i mondi paralleli di Staighài]

LA ROSA DEI VENTI [i mondi paralleli di Staighài]
racconto online grautito a puntate: vedi qui l'evolversi dell'avventura

Iside....

Verdi, Giuseppe - Gloria all'Egitto
Found at skreemr.com

Poema

DE BELLO HOC NOSTRO
Libro I

I Fantasmi di Aiarha

Nascosta nei libri della storia
La primavera avanzava
Il mondo guardava sull’orlo
Della fine il deserto
Che scompariva mentre
Molti salutavano all’ultimo giorno
Le stanche file disserrate che scomposte
Risalivano le montagne.

continua qui
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=7919522&a=2#last

Uomo Rettile


il mito dell’Uomo Rettile .
L’UOMO-RETTILE
NELL’ORRORE DEL MILLENNIO


Caro Amico Umano e Non,


‘Quando un viaggiatore, nel Massachuttes del centro nord, prende la strada sbagliata al bivio del Picco di Aylesbury, subito dopo Dean’sCorner, entra in un territorio solitatio e curioso’…

Siamo sulla Terra, e in il nostro narratore e un uomo dallo sguardo spento e dall’umore torbido come le acque di una palude, si chiama HP Lovercraft, e racconta questa storia nel 1928.
Ricordate la crescita straordinaria di Elisabeth in V-visitors?
Ci sono tracce di una simile evoluzione proprio in questo racconto: - ‘…La crescita di Wilbur era davvero fenomenale perché nel girodi tre mesi, aveva raggiunto una taglia che di solito non si trovavano nei bambini della sua età..’

Ora, l’Orrore di Dunwich narra di un paese scivolato fra i gorghi di un’oscura maledizione, i suoi onesti cittadini erano dediti ad un culto maledetto. E potenze sinistre, sconosciute, provenienti da un tempo e uno spazio celato nell’inferno, giorno dopo giorno si mescolarono agli abitanti, incrociandosi in oscene e deformi creature. Creature che vennero subito elevate a semidei.
Perché iniziare con un simile racconto?

Vi è uno dei miti più antichi dell’umanità: l’uomo – rettile. l’uomo – drago è un mito antico, che sorge alle origini della storia umana.
Non è un caso che HP Lovercraft prese come ispirazione il mondo mitico dei Sumeri, e non è un caso che prenderemo a osservare certi spunti nei suoi racconti. Nell’ ‘Orrore di Dunwich’ il mondo dei Sumeri viene ingoiato nell’abisso di un pantheon alieno, sepolto in qualche ventre cosmico, terrificante, ma assopito.

Lovercraft ci narra nel suo racconto, sempre a proposito degli abitanti di Dunwich: ‘Sono venuti a creare una razza a sé, con ben precise stigmate fisiche e mentali frutto della degenerazione, e dell’accoppiamento fra consanguinei. La loro intelligenza è sventuratamente bassa, mentre la loro storia trabocca di vizi praticati alla luce del sole di assassini e incesti nascosti a metà , e di imprese dalla violenza e perversità quasi immorale…’
Quando lo scrittore svela che le fattezze di questa specie sono quasi rettiliane, e nei suoi racconti questi 4 strani esseri ibridi fra salamandre, coccodrilli e umani, tornano ossessivamente, ci troviamo a vivere in un mondo dominato dalla Bibbia, e in un America che in parte coltiva un puritanesimo protestante in modo quasi morboso. Il Serpente è stato già confinato nel ruolo del Cattivo Messaggero, Legato a un mitema demoniaco che lo vedrà opposto per sempre alla luce divina. Eppure non è ancora morto quel mito, l’uomo – drago sopravvive nel mondo occidentale, sia pure in una luce opposta a quella dell’Eroe Civilizzatore Gilgamesh, venerato dai Sumeri.

I rettili sono cattivi. Ma il modo in cui HPL ha descritto l’intelligenza di quegli esseri mi aiuta ad accostare ancor più questi due topos dell’uomo –rettile. Non esalta certo l’intelletto delle creature che descrive. Ma in V non capita spesso di incontrare ‘geni’. Se fai caso, spesso i tecnici più umili di grado, i soldati semplici, e lo stesso Willy, sembrano quasi un po’ ‘appesantiti’, lenti. I loro ragionamenti sono lineari. La sentinella farà passare MD nel quartier generale in cambio di un topo, come se un soldato della Casa Bianca facesse passare Osama Bin Laden in cambio di un panino… In questa strana scarsità di acume c’è qualche indizio che mi piacerebbe tirar fuori.
E’vero, HPL è duro nel descrivere i suoi alieni. HPL nasconde e cela tutto. Ricordiamoci del suo pseudo-libro: Necronomicon, un inno alla teoria degli alieni assopiti sulla Terra, in attesa di riprendersela appena i tempi saranno maturi. Ma è tutto criptico, svelato racconto per racconto, sino al quadro completo, all’orrore che permea il mondo di Cthulu.

Osserviamo una notazione:
‘Wilbur non fu più visto da allora, senza un abito completo e perfettamente abbottonato…Quando veniva messo in disordine o si verificava una minaccia in tal senso, veniva preso dalla collera e dell’ansia…’

C’è ancora un passaggio che ci piacerebbe leggere assieme:
‘Le storie di Wathley si confusero per un decennio con la noramle vita di una comutà malsana, abituata alle eccentricità e assuefatta alle orge di Calendimaggio e di Ognissanti…’
HPL sembra aver intuito che il mito dell’uomo rettile sarebbe sopravvissuto ancora per ere nella memoria umana…



II

L’ALBERO DEL MONDO E IL SERPENTE DELLA VISIONE

Non c’è un’era narrata tanto remota come l’epoca della Creazione dell’uomo e della donna.
In quest’epoca, dovunque sulla terra, si affacciano gli dei.
Gilgamesh deve arginare l’impeto distruttore di Enkidu, il primo uomo, così Odino sta appeso impiccato a testa in basso per donare ai mortali le Rune…
Ma questa è soprattutto l’era dei semidei, degli uomini-drago.
I Maya narrano di un mito ancestrale, dell’Albero del Mondo il Wacah Chan, che dividendosi in due genera le fauci del Serpente della Visione, creatura o mostro cosmico, che fa da Porta al Xibalba, un specie di Oltremondo, nel quale vivono spiriti e umani e creature di altri dove…
Ancora nell’epoca antidiluviana compare un mostro rettile, che non si fa conoscere nella sua malvagità, ma porta notizie di dei e di mondi alieni.
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Il sovrano Maya era fisicamente l’asse della Terra. Tutto quello che realmente contava era incarnato nella persona del Re. Nel signore assoluto si materializzavano il destino e la forza del mondo. L’Albero della Vita, prima ancora di divenire l’Albero del Bene e del Male, era un asse tangibile, che scorreva nella regalità delle dinastie Maya.

Il Re era speculare all’Albero della Vita, uno stesso mito riflesso. E la comunicazione fra i mondi avveniva nelle trance che lo assalivano in cima alla ‘piramide-montagna’. C’è una somiglianza con un simbolismo che hai Ma la somiglianza si fa più viva se avviciniamo anche un altro elemento: La Pietra è la Montagna, per i Maya, forza matrice degli eventi. L’Albero del Mondo si fa Serpente della Visione, e collima i due mondi umano e spiritico, riportando l’infero nel cielo, e la terra nel mezzo delle dimesioni.